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«L’ impostazione dell’accusa nel processo trattativa è fantascientifica». Lo ha detto l’altro giorno, ( in una intervista raccolta dal giornalista di Radio Radicale Sergio Scandura), Giuseppe Di Lello, ex magistrato, ex parlamentare di Rifondazione comunista.
Di Lello non è un personaggio qualsiasi. È un pezzo pregiato della storia dell’antimafia - della vera antimafia. Di Lello ha fatto parte del pool antimafia dal primissimo momento. Il Pool lo fondò Rocco Chinnici, nei primi anni ottanta, e chiamò con se quattro giovani magistrati quarantenni: Giovannni Falcone, Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta e Peppino Di Lello. Di Lello è stato uno dei protagonisti del celeberrimo maxiprocesso alla mafia ed è restato fino alla fine nel pool, cioè fino a che non lo smantellarono.
Di Lello era amico personale di Falcone e Borsellino. Sentite cosa ha detto a radio Radicale a proposito del processo sulla presunta trattativa Stato Mafia ( che ha portato alla condanna degli ufficiali dei Ros Mori, De Donno e Subranni, e dell’ex senatore Marcello Dell’Utri): «Ho già in passato espresso delle perplessità enormi per la ricostruzione secondo me un po’ giornalistica di questo pezzo della storia d’Italia che accomuna soggetti molto diversi tra di loro e mescola due epoche storiche distinte: quella della Dc di Mannino e Mancino e quella di Forza Italia di Dell’Utri e Berlusconi. Un patto tra Stato e mafia? E cosa ha ottenuto la mafia? Ha ottenuto un indurimento del 41 bis inserito stabilmente nell’ordinamento penitenziario, un indurimento nelle misure di sicurezza, specialmente patrimoniali, perché dopo un impulso della Cassazione l’estensione è stata recepita anche legislativamente ( e questo lo ha fatto il governo Berlusconi. Ve lo dico io che sono un antiberlusconiano)». Di Lello ha sottolineato che le misure di sicurezza patrimoniali per la mafia sono state devastanti, a parer suo anche incostituzionali, perché «hanno avuto una forza espansiva tremenda e sono state estese alle indagini sulla corruzione e sul terrorismo. Per cui occorre vedere in concreto cosa abbia ottenuto la mafia da questa trattativa. Forse si ipotizza che essendo il reato del quale sono accusati Mori e dell’Utri un reato cosiddetto “di pericolo”, non c’era da provare che si fosse ottenuto qualcosa, era da provare solo che c’era stata una minaccia al corpo politico dello Stato. Io però credo che abbia giocato molto, essendoci anche la giuria popolare, la mancata perquisizione dei Ros nel covo di Riina. Mi si dirà che c’è stata l’assoluzione, in un altro processo, per questa accusa, e che dunque non avrebbe dovuto contare.
Già ma il fatto però rimane nella mente anche dei giudici togati, quindi può darsi che abbia giocato anche questo, e poi i trascorsi di Dell’Utri e Berlusconi, anche se però Berlusconi non è stato coinvolto» . Di Lello ha spiegato l’illogicità del teorema giudiziario: «Io credo che l’impostazione sia un po’ fantascientifica, perché se questi hanno operato con la coscienza che le bombe avrebbero potuto aiutare la mafia ad ottenere qualcosa, allora dovevano essere rinviati a giudizio per concorso in stragi, sicuramente c’era un concorso morale, e invece è stato scelto l’altro filone, che poi è un filone che non si lega. Partiamo da Conso ( ministro della Giustizia all’epoca delle stragi del ‘ 93), che ha concesso alcuni ammorbidimenti del 41 bis, e partendo da Conso arriviamo a Berlusconi: ma è un percorso illogico. Poi partiamo dal binomio Dell’Utri- Berlusconi: un mio amico, all’indomani della sentenza, mi ha chiesto se Dell’Utri mettesse le bombe contro Berlusconi. Questo è l’altro filone logico che non regge secondo me, perché se c’era questa grande intesa tra Berlusconi e Dell’Utri non c’era bisogno di mettere le bombe, bastava che Dell’Utri glielo chiedesse».
Poi Di Lello ha continuato riferendosi al presunto coinvolgimento di Berlusconi: «L’altra cosa assurda è immaginare che lui entrasse in politica con le bombe, e l’altra cosa che secondo me non quadra è questo riferimento alle bombe come fattore risolutore di alcune questioni tipo il 41 bis ed altre. Per esempio la mancata strage dei carabinieri allo stadio olimpico: immaginiamoci che all’indomani di una strage di carabinieri qualcuno potesse chiedere in Parlamento di togliere il 41 bis o le misure di prevenzione? Sarebbe stato linciato.
Dalle bombe, la mafia ha ottenuto il peggio che potesse ottenere. Io insisto – ha sottolineato Di Lello - è una ricostruzione molto giornalistica che si inquadra in una ricostruzione della storia d’Italia basata sulla criminalità, molte volte è stata fatta un storia d’Italia basata tutta sulle trame del terrorismo, dei servizi deviati, della Cia, della mafia, come se la storia d’Italia fosse una storia criminale. No, la storia d’Italia è una storia di resistenza fatta di lotte democratiche anche di corpi intermedi. La vulgata qual è? Che lo sbarco degli anglo- americani in Sicilia fosse stato aiutato dalla mafia. Eppure bastava leggere Sciascia: la storia raccontata al popolo, quando questo paesano aveva visto un’infinità di navi, il mare non si vedeva più, il cielo non si vedeva per gli aerei, 200mila uomini, migliaia di navi e aerei. E avevano bisogno del supporto logistico della mafia? Però guai a dire che la mafia non aveva avuto questo ruolo essenziale nello sbarco».
Di Lello ha spiegato l’irragionevolezza di insistere sulla storia del passato quando Mannino e Mancino sono invecchiati, e già all’epoca dei fatti la Dc era decrepita e «siccome non avrebbe potuto avere la forza di essere referente politico, il processo è stato allungato a Berlusconi perché poteva essere un referente».
Di Lello poi ha denunciato un certo modo di fare l’antimafia: «Mi fa paura una legislazione abbastanza speciale, che poi la legislazione sulle misure di prevenzione è tremenda perché colpisce il patrimonio, mi fa paura una legislazione che si sta espandendo, doveva essere eccezionale e invece sta diventando un sistema a se, che sta invadendo un po’ tutti i settori, la parte amministrativa la abbiamo delegata a Cantone e quella giurisdizionale ai giudici».