Il 15 gennaio di quest’anno, a pochi giorni dalla fine del suo mandato, il Collegio del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà ha avvertito la responsabilità, propria della sua funzione di organismo di prevenzione, di segnalare la situazione drammatica delle carceri italiane che si stava profilando (sovraffollamento al 127,54% con crescita costante di 400 presenze al mese, 4 suicidi nei primi 9 giorni dell’anno) e che confermava i segnali di allarme già rilevati nel corso del 2023, presentati al Parlamento con la relazione annuale.

Lo ha fatto con un comunicato diretto a tutte le autorità responsabili, cioè quelle investite del potere- dovere di agire, nel quale raccomandava, innanzitutto, l’adozione di provvedimenti urgenti di deflazione della popolazione detenuta come la liberazione anticipata speciale e, poi, l’avvio rapido di previsioni normative che consentissero una modalità di esecuzione penale diversa dalla detenzione in carcere per persone condannate a pene brevi, inferiori ai due anni di reclusione.

Richiamo, segnalazione e raccomandazioni caduti nel vuoto dell’indifferenza e dell’inazione di quelli cui erano diretti, governo e ministero della Giustizia in prima fila.

I risultati di questa indifferenza non si sono fatti attendere e la situazione di oggi presenta il quadro drammatico di quella facile profezia di Cassandra di inizio d’anno: 61.547 persone in carcere, 14.480 in più rispetto ai 47.067 posti concretamente disponibili, sovraffollamento cresciuto al 130,59% con l’aumento di 1.219 presenze dal mese di gennaio.

E ancora: 45 morti per suicidio dall’inizio dell’anno a oggi, 5 nei quattro giorni tra l’ 11 e il 15 giugno, di cui due in quest’ultima sola giornata. Un numero impressionante per se stesso ma allarmante se confrontato non solo con quello dei 30 suicidi dello scorso anno alla stessa data, ma soprattutto con quello del 2022, l’annus horribilis che si concluse con 85 suicidi: erano 30, al 15 giugno, anche quell’anno.

Davanti a questo disastro, umano, civile, sociale, politico, lo Stato che fa? Si costerna, s’indigna, s’impegna, poi getta la spugna con gran ( insomma) dignità, per dirla con le parole di Faber. Sì, perché i progetti edilizi del ministro Nordio, tra costruzione di nuove carceri e recupero di

vecchie caserme, con buona pace della mancanza del personale che vi dovrebbe operare, e i più recenti annunci del sottosegretario Ostellari di misure dichiaratamente dirette a deflazionare più il carico di lavoro dei magistrati di sorveglianza che il sovraffollamento delle carceri, non hanno chiaramente a che fare con le possibili soluzioni del problema, anche per il tempo di realizzazione che richiedono.

L’emergenza non scende mai a patti con il tempo e quella delle carceri italiane è un’emergenza che richiede misure urgenti e immediate: la liberazione anticipata speciale della proposta di legge Giachetti dovrebbe essere solo il primo passo, un atto urgente, appunto. Perché il passo successivo, che richiede più tempo di quello oggi permesso, deve essere l’adozione di un provvedimento di amnistia e di indulto che sollevi le nostre prigioni dalla presenza inutile di persone condannate a pene così brevi da non riuscire nemmeno ad avviare un percorso di riabilitazione o che sono arrivate alla fine della loro pena: 1.526 persone condannate a meno di un anno di reclusione, più di 16.000 quelle che devono scontare una pena non superiore ai due anni.

Insomma, esattamente le misure che governo, ministero della Giustizia e maggioranza parlamentare non vogliono adottare: no sconti di pena, hanno in più occasioni dichiarato.

Ci penserà l’Europa. È già successo, succederà ancora. Anzi, sta già succedendo: il richiamo espresso il 14 giugno dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa con riguardo specifico al numero dei suicidi nelle carceri italiane, suona come preludio delle possibili iniziative degli organi sovranazionali e delle conseguenti sanzioni. Sanzioni che graverebbero sulle casse dello Stato, cioè sulle tasche dei cittadini. E allora chissà che più della sensibilità politica e sociale e dell’immagine indecorosa con cui il nostro Paese si presenta con le sue carceri sullo scenario europeo, possa il denaro. Il problema è che tutto questo richiederà del tempo e se le cose andranno avanti come stanno andando sarà un tempo in cui si continuerà la tragica conta dei morti in carcere: una conta durante la quale non vorrei essere nelle coscienze di quanti oggi hanno il potere- dovere di agire o quello di vigilare e prevenire e non lo esercitano.