PHOTO
In cella per una foto sbagliata: la storia di Anna Maria Manna
Il tribunale ha respinto i domiciliari a un detenuto accusato di mafia per accudire il figlio infraseienne autistico. Scatta quindi il ricorso con atto a firma dell’Avvocato difensore Pantaleo Cannoletta: la Cassazione l’accoglie e rigetta l’ordinanza del tribunale chiedendo una nuova valutazione, perché teoricamente ci sarebbero tutti gli estremi per concedere i domiciliari.
E questo nonostante ci sia la presenza della madre. Il motivo? Lei risulta chiaramente impossibilitata a dare assistenza al minore, ma soprattutto viene preso in considerazione un principio indissolubile: la considerazione del «rischio in concreto derivante per il bambino dal "deficit" assistenziale, sotto il profilo della irreversibile compromissione del processo evolutivo- educativo, dovuta alla mancata, valida ed efficace presenza di entrambi i genitori».
È la sentenza della Corte di Cassazione n. 36884 che, oltre al rispetto dei principi enunciati, ha inteso dare continuità alle passate aperture su tale linea interpretativa, laddove era stato affermato il principio, secondo cui la situazione di "assoluta impossibilità" della madre può essere desunta anche dalle precarie condizioni di salute della donna e dalla necessità di provvedere alle necessità di altro figlio minorenne portatore di grave malattia.
Ovvero – si legge nella sentenza della Corte – laddove «era stato affermato che il divieto di custodia cautelare in carcere nei confronti dell'imputato, padre di prole di età inferiore a sei anni, opera anche nel caso in cui i minori possano essere affidati a congiunti disponibili o a strutture pubbliche, in quanto ad essi il legislatore non riconosce alcuna funzione sostitutiva, considerato che la formazione del bambino può essere gravemente pregiudicata dall'assenza di una figura genitoriale, la cui infungibilità deve, pertanto, fin dove possibile, essere assicurata, trovando fondamento nella garanzia che l'art. 31 Cost. accorda all'infanzia».
Nella fattispecie in esame, la Corte parte dalla premessa che risulta indiscussa la gravità delle condizioni del figlio dell'indagato, involgenti una patologia dello spettro autistico con comportamento oppositivo autolesionistico, eteroaggressività e linguaggio assente ( utilizza esclusivamente la parola mamma in maniera indifferenziata).
D’altronde, nel ricorso, l’avvocato ha sottolineato che il bambino è affetto da «disturbo dello spettro autistico con compromissione intellettiva e del linguaggio associata a disregolazione emotiva e atteggiamento oppositivo, con disturbi del sonno, assenza di linguaggio, eteroaggressività, tendenza all'autolesionismo e a mettere in atto condizioni pericolose che rendono impossibile a una donna sola di prestargli assistenza».
Anche per la Cassazione, quindi, tale patologia è talmente grave da rendere necessaria la compresenza di entrambi i genitori in casa, tanto più che nello stesso nucleo vive altra minore, figlia della coppia, di sette anni.
Per questo motivo, secondo la Corte, occorre, alla luce del principio già ribadito, tener conto di tale situazione. Ecco perché ha accolto il ricorso del detenuto in custodia cautelare per reati legati al 416 bis. Secondo la Cassazione, il Tribunale del riesame, nel valutare l'assoluta impossibilità della madre ad occuparsi della prole, «non avrebbe dovuto considerare solo la condizione della stessa, ma anche tener conto delle condizioni di salute del minore infraseienne, P. A., e verificare, in concreto, la sussistenza o meno per lo stesso di un "deficit" assistenziale, sotto il profilo della irreversibile compromissione del processo evolutivo-educativo per la mancata, valida ed efficace presenza di entrambi i genitori».