Si chiama guerra civile a bassa intensità. È una categoria della politica. La si usa per descrivere ad esempio il clima degli anni di piombo, in particolare lo scontro fra destra e sinistra extraparlamentari. Bene, potrebbe essere rispolverato, il concetto, per spiegare cosa accade sulla giustizia. E per intendersi meglio, basta partire dai fatti: ad affiancare Carlo Nordio, pur sempre un parlamentare eletto con Fratelli d’Italia, non saranno, come pure ci si potrebbe aspettare, due sottosegretari espressi dai partiti alleati di Giorgia Meloni, cioè Lega e Forza Italia. Nel senso che la Lega non ci sarà, e la premier, considerato che è ormai certo l’incarico di viceministro per l’azzurro Francesco Paolo Sisto, ha spiegato a Matteo Salvini di voler schierare a via Arenula, come numero due, un proprio fedelissimo, il responsabile Giustizia di Fratelli d’Italia Andrea Delmastro.
UN QUADRO DI TENSIONE
In realtà il riequilibrio non riguarda solo Sisto, ma innanzitutto
la linea garantista che innanzitutto Nordio, e anche il futuro vice di Forza Italia, incarnano. Meloni ha una propria impostazione, diversa da quella del guardasigilli soprattutto sulle carceri, e ha bisogno di chi se ne faccia interprete. Un quadro di tensione. Se non da “guerra civile a bassa intensità”, be’, da guerra fredda, verrebbe da dire. E come si farà con la Lega? Con un altro riequilibrio: il sempre più probabile incarico di presidente della commissione Giustizia di Montecitorio da assegnare al salviniano che, fino a poche ore fa, era dato per favorito come sottosegretario alla Giustizia, vale a dire Jacopo Morrone.
POCHI DUBBI SU DELMASTRO
Tutto normale? Magari sì. Dipende dai punti di vista. Certo un assetto simile sembra preludere, almeno a un primo sguardo, alla guerra fredda, appunto: via Arenula come Berlino. Un’unica città ma divisa in due da un muro. Da una parte Nordio, e Sisto, dall’altra Delmastro. Una frattura innaturale. Sarà proprio così? Intanto,
sull’idea di Delmastro sottosegretario, ci sono poche incertezze. Da Palazzo Chigi fanno intendere che, sul punto, la volontà di Giorgia Meloni è chiara. L’incarico al responsabile Giustizia di Fratelli d’Italia è «una precisa richiesta della presidente del Consiglio», punto. Ma sul fatto che ci troveremo di fronte all’Alexanderplatz della giustizia, le stessi fonti presidenziali offrono un altro tipo di lettura: «Non è così. Non c’è alcun commissariamento nei confronti di Nordio. C’è un incontro fra obiettivi in gran parte identici e solo marginalmente diversi. Certo, su alcuni punti specifici, ad esempio la depenalizzazione, non tutti i punti di vista coincidono». Tradotto: Nordio la pensa in un modo, cioè vuole depenalizzare e “decarcerizzare”, la premier non intende procedere né sull’una né sull’altra ipotesi.
L'ULTIMA PAROLA SPETTA A MELONI
«Ma è chiaro che se in un governo si deve prendere una decisione, ha un certo peso quella di chi lo guida. Il che non vuol dire che le istanze garantiste scompariranno. Perché», spiega ancora chi conosce il pensiero di Meloni, «tutto quanto si potrà fare per garantire i diritti dell’indagato e dell’imputato, andrà fatto. Il garantismo nella fase dell’accertamento delle responsabilità, finché non c’è condanna definitiva, sarà perseguito in tutte le forme possibili. Anche con il ripristino della prescrizione, che la precedente maggioranza ha sostituito con una soluzione senza senso. Su questo Nordio troverà sostegno da parte della maggioranza, a cominciare da Fratelli d’Italia». E insomma, archiviamo pure la categoria della “guerra fredda”: siamo al compromesso storico della giustizia. Clamoroso, in parte. Ma, a quanto risulta, condiviso da tutti. Anche dalla Lega. Che ha già fatto sapere di non stracciarsi le vesti se, come detto, Morrone non farà il bis da sottosegretario a via Arenula ma si fregerà dell’altrettanto prestigioso incarico di presidente della commissione Giustizia di Montecitorio. All’analogo organismo di Palazzo Madama dovrebbe invece esserci un berlusconiano. E certamente, si può aggiungere per tornare al puzzle di via Arenula, nel caso di Sisto è in arrivo una nomina da viceministro. Upgrade tutt’altro che posticcio. Intanto, diversamente dal sottosegretario, il “vice” non viene nominato dal Consiglio dei ministri: alla riunione già in calendario a Palazzo Chigi per lunedì prossimo, ci dovrebbe essere, tra le altre, la nomina di Delmastro, mentre la richiesta formale su Sisto sarà pronta ma non potrà essere deliberata in quella sede: andrà sottoposta al presidente della Repubblica. In questo caso, la nomina spetta al Colle, come per i ministri. L’attesa, nel caso di Sisto, sarà ampiamente compensata dall’onore di poter sostituire Nordio nelle riunioni del Consiglio dei ministri in cui, per qualsivoglia ragione, il guardasigilli “titolare” non dovesse intervenire.
LAICI CSM IL 13 DICEMBRE
In tutto questo, sui nomi ancora bilico, come l’azzurro che presiederà la commissione Giustizia di Palazzo Madama,
sono in corso negoziati che mettono in gioco pure la vicepresidenza del Csm o quanto meno i nomi che il centrodestra esprimerà per la componente laica di Palazzo dei Marescialli. Da ieri è ufficiale la data in cui si voterà per i consiglieri di nomina parlamentare: il 13 dicembre. Altra novità in arrivo: l’entrata in vigore della riforma penale dovrebbe slittare. È prevista per il 1° novembre. Si ipotizza un rinvio al 31 dicembre, come chiesto da tutti i procuratori generali e i presidenti di Tribunale italiani. In qualche caso, la richiesta è stata trasmessa a Nordio d’intesa con l’Ordine territoriale degli avvocati. È il caso di Palermo, dove il presidente del Coa Antonello Armetta ha firmato l’istanza di rinvio insieme con il presidente del Tribunale Antonio Balsamo. Anche qui un accordo. I muri che cadono. Pare che a via Arenula non ne saranno innalzati. Ma servirà un compromesso degno del disgelo Reagan- Gorbaciov. E forse la fine del comodo derby garantisti- giustizialisti val bene anche qualche patto fuori programma.