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Neanche la perizia dei consulenti della Procura generale che avevano consigliato il suo ricovero in strutture sanitarie adeguate, ha salvato Marcello Dell’Utri dalla galera. Ieri il tribunale di sorveglianza di Roma ha infatti respinto la richiesta di sospensione della pena presentata dai legali dell’ex senatore di Forza Italia che sta scontando una condanna a 7 anni per concorso in associazione mafiosa. Insomma, per i giudici le condizioni di salute di Dell’Utri - gravemente cardiopatico e malato di tumore alla prostata - sono compatibili col regime carcerario.
E dopo il no del Tribunale di sorveglianza Dell’Utri ha annunciato lo sciopero della fame e delle cure. «Preso atto della decisione del Tribunale che decide di lasciarmi morire in carcere ho deciso di farlo di mia volontà adottando da oggi lo sciopero della terapia e del vitto».
«Preso atto della sentenza di rigetto con cui il tribunale decide di lasciarmi morire in carcere, ho deciso di farlo di mia volontà adottando, da oggi, lo sciopero della terapia e del vitto», così ieri ha annunciato Marcello Dell’Utri dal carcere di Rebibbia. Un duro annuncio dopo aver appreso che il tribunale di sorveglianza ha respinto la richiesta di riconoscere l’incompatibilità con il regime carcerario per motivi di salute, motivando che l’ex senatore può curarsi in carcere. L’avvocato difensore Alessandro de Federicis spiega a Il Dubbio che «Dell’Utri non ce la fa più, il suo è un segnale anche per gli altri detenuti per questa finta efficienza dove si dice che si può fare tutto in carcere, ma poi la gente non viene curata». Sì, perché i magistrati di sorveglianza dicono che può fare in carcere perfino la radioterapia.
«Eppure – spiega l’avvocato – in casi analoghi è stata esclusa una decisione del genere, visto che per fare la radioterapia, il carcere non è assolutamente l’ambiente adatto». Questo è lo stato di diritto? L’avvocato de Federicis spiega che no, questa decisione è una follia: «Lo Stato vuole mostrare la sua faccia feroce».
La decisione è arrivata nel primo pomeriggio di ieri, dopo che nell’udienza del 5 dicembre il tribunale aveva preso tempo per deliberare.
Ma il sentore di una scelta del genere era già nell’aria, quando, nel corso dell’udienza del 5, il Procuratore Generale di Roma, Pietro Giordano, aveva dato parere negativo alla scarcerazione di Dell’Utri sostenendo di credere alla perizia del tribunale, redatta dal medico legale Alessandro Fineschi e dal cardiologo Luciano De Biase, che avevano sostenuto la tesi secondo cui Dell’Utri dopo le cure mediche del caso sarebbe potuto tornare in carcere. Eppure parliamo degli stessi periti nominati dal sostituto procuratore che avevano comunque dato un parere scritto in cui si dichiarava l’incompatibilità tra lo stato di salute e la carcerazione dell’ex senatore.
La stessa relazione dei periti, tra l’altro, indicava anche 5 strutture alternative al carcere: 3 a Roma e 2 a Milano.
Ma niente da fare, per il tribunale di sorveglianza, Dell’Utri può rimanere in carcere, esattamente nel reparto G14 di Rebibbia, proprio il luogo che il garante nazionale dei detenuti Mauro Palma visitò a giugno scorso.
Fu lì che il Garante ebbe modo di incontrare Dell’Utri e riscontrare la sue evidenti precarie condizioni fisiche.
Proprio per quel motivo, Mauro Palma, espresse «seria preoccupazione per le condizioni evidenziate in atti documentali» auspicando che ogni decisione da parte della Magistratura di sorveglianza, «non andasse al di là di tempi ragionevoli, al fine di tutelare, qualunque sia la forma che verrà decisa, la sua salute, che referti medici riportano come particolarmente critica».
Da tempo si era parlato di incompatibilità con il carcere per le sue precarie condizioni fisiche. Per questo motivo, più di un anno fa, i legali dell’ex senatore avevano depositato in tribunale una dettagliata istanza per chiedere l’incompatibilità del loro assistito con la detenzione carceraria. Solo che il tribunale di sorveglianza si era riunito per la prima volta a settembre del 2016 e, tra un’udienza rinviata e l’altra, la decisione è arrivata ieri. Una decisione che però non fa i conti con la realtà, perché oltre alle gravi patologie come la cardiopatia, nell’ultimo periodo a Dell’Utri è stato anche diagnosticato un tumore alla prostata.
Ricordiamo che Marcello Dell’Utri sta scontando una condanna per il delitto di concorso esterno in associazione mafiosa arrivata dopo un procedimento interminabile, cominciato nel ‘ 94 e concluso nel 2014.
La sua carcerazione era stata criticata perché considerata una forzatura per le stesse ragioni per cui la giustizia europea ritenne forzata quelle di Bruno Contrada, il quale non andava condannato per concorso esterno perché all’epoca dei fatti il reato non esisteva. Un reato, tra l’altro, che non esiste nel diritto penale ed è stato ricavato dal combinato disposto dell’art.
110 e 416- bis del codice penale. A maggio del 2016, l’ex senatore, dal carcere duro di Parma fu trasferito a quello romano di Rebibbia.
Dopo l’arrivo nella capitale, Dell’Utri era stato aggredito da una violenta setticemia, causata da un’infezione alle vie urinarie, e la sua salute era precipitata. Si era temuto per la sua vita e così si era reso necessario il ricovero in ospedale, al Sandro Pertini.
Qui Dell’Utri è rimasto per quasi un mese finché non si è ripreso. Poi è tornato a Rebibbia, nel reparto di infermeria. Il quadro clinico non è sempre stato dei migliori. Ha 75 anni, soffre di diabete, ha problemi al cuore e, come già detto, ha un tumore alla prostata. Quando era a Parma, la situazione clinica era già precaria. Per via della sua condanna, viveva in regime di alta sicurezza che prevede che si possano fare solo due ore d’ aria al giorno durante le quali lui poteva camminare, sempre in isolamento, in una vasca di cemento di sette metri per sette con mura alte sei metri. Un regime poco più tenue del 41 bis, dove, tra le altre cose, gli veniva illegittimamente censurata la corrispondenza: proprio cinque giorni fa la Cassazione ha accolto un ricorso di Marcello Dell’Utri nel quale contestava tale censura.
Ora da più di un anno è a Rebibbia e secondo i magistrati è lì che deve rimanere.