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Marcello Dell'Utri è condannato in via definitiva a 7 anni di carcere per fatti che risalirebbero a prima del 1994. Cioè a un'epoca in cui il reato attribuitogli, concorso esterno in associazione mafiosa, non esisteva. La giurisprudenza lo ha tipizzato solo nel '94, appunto. Non poteva essere condannato, dunque: la legge penale, se sfavorevole all'imputato, non può agire retroattivamente. Il principio è chiaro eppure l'Italia non lo applica. Ne è derivata una "censura" della Corte europea dei Diritti dell'uomo: il 13 aprile 2015 i giudici di Strasburgo hanno riconosciuto a Bruno Contrada un risarcimento per il fatto di essere stato vittima di un'ingiustizia analoga a quella consumata su Dell'Utri. Nel caso dell'ex 007 gli si sono fatti scontare dieci anni di carcere nonostante il concorso esterno risalisse anche per lui a prima del '94. Stesso reato, stesso paradosso temporale. Se il nostro sistema giudiziario fosse in grado di funzionare secondo un principio di ragionevolezza, il cofondatore di Forza Italia dovrebbe essere già fuori dal carcere. Invece resterà dentro, a Rebibbia probabilmente, o altrove se sarà trasferito. Due giorni fa è caduto nel vuoto l'ultimo tentativo esperibile presso la giustizia italiana: Dell'Utri ha visto infrangersi contro il muro della Cassazione un incidente di esecuzione proposto dal suo difensore Tullio Padovani proprio sulla base della sentenza Contrada. «Rigetto totale», si legge sul dispositivo. Secondo la prima sezione, relatore Raffaello Magri, la pronuncia su Contrada non produce alcun effetto sul caso dell'ex senatore. Non conta che il reato di Dell'Utri non esistesse ancora all'epoca dei comportamenti ritenuti delittuosi (1974-1992), e che con la stessa motivazione la Cedu abbia ritenuto ingiusta la condanna di Contrada. Svanisce dunque ogni possibilità che la giustizia italiana applichi a Dell'Utri il principio dell'irretroattività della legge penale.Anche per l'ex senatore resta solo la Corte europea. Gli avvocati avevano inoltrato il ricorso a Strasburgo prima ancora che fosse emanata la sentenza Contrada. Ma i tempi della giustizia europea sono lunghi. «Lo sono anche perché in Italia si assiste a un continuo svuotamento dello Stato di diritto, svuotamento che da una parte alimenta un flusso impressionante di contenziosi presso la Cedu, fino a ingolfarla, dall'altra pone un numero sempre maggiore di ostacoli all'accesso a tale estrema possibilità di appello», spiega lo stesso Padovani. Il difensore, docente di Diritto penale alla Scuola superiore Sant'Anna di Pisa, si definisce «militante radicale praticamente dalla nascita» e sostiene che «noi italiani ci siamo specializzati nell'assegnare al nostro sistema di garanzie una presentabilità di facciata, per poi dimostrarci nei fatti la vera patria del sabotaggio del diritto».Sono trascorse 48 ore dal rigetto in Cassazione, il rammarico dei familiari e dei difensori di Dell'Utri è inevitabile. Un'altro dei legali, Giuseppe Di Peri, confida che Strasburgo decida in tempi non lunghissimi. Ma i precedenti e l'ingolfamento sempre maggiore non autorizzano particolare ottimismo. È assai probabile che una pronuncia europea favorevole a Dell'Utri arrivi quando la pena sarà quasi estinta. O in tempi così lunghi che non ci sarà comunque modo di risparmiare a Dell'Utri almeno parte della detenzione: dopo una pronuncia europea va sempre riproposto l'incidente di esecuzione in Italia, «con tutti i tempi e le incognite del caso», dice Padovani. Il cofondatore di Forza Italia sa che non dovrebbe stare in carcere, ma sa anche che quasi certamente ci resterà per tutti e 5 gli anni di pena restanti. La sola realistica via d'uscita sarebbe un provvedimento di clemenza del presidente della Repubblica, innescato proprio dall'irragionevolezza del paradosso giuridico. «Ma il dottor Dell'Utri non ha mai ritenuto di presentare domanda. Non vede perché dovrebbe chiedere un provvedimento di clemenza per ottenere qualcosa a cui ha diritto», spiega l'avvocato Di Peri. Un buon motivo ci sarebbe. E sta nel fatto che l'Italia, già da tempo, non pare più interessata al titolo di patria del diritto.