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Nel corso del dibattito “Il carcere al femminile”, organizzato oggi a Perugia dal Consiglio nazionale forense per la Giornata Internazionale della Donna, con la Fondazione dell’avvocatura italiana e Il Dubbio, le parlamentari Maria Elena Boschi (IV), Susanna Donatella Campione (Fdi), Mariastella Gelmini (Noi moderati - Centro popolare) e Debora Serracchiani (Pd) hanno avviato una riflessione comune sul ddl sicurezza, ora in discussione al Senato, che prevede la cancellazione del differimento obbligatorio della pena per le donne incinte e le madri con figli di età inferiore a un anno.
Una minoranza, quella delle detenute, che rischia di scomparire. Tra carenze strutturali e un sistema pensato e organizzato al maschile, in un Paese che ha tre istituti femminili, cosa diversa dalle sezioni dedicate nei penitenziari, e che non si è ancora dotato adeguatamente di strutture di detenzione alternative come gli Icam, ovvero gli istituti a custodia attenuata per detenute madri, dove i bambini possano crescere, insieme alle madri, in condizioni di vita migliori. Ce ne sono 5. E quindi le modifiche al ddl Sicurezza, in particolare sulla cancellazione del differimento obbligatorio della detenzione per le donne incinte, che potrebbero anche essere riviste. Sono alcuni degli aspetti emersi all’evento.
Ad aprire i lavori, a nome del presidente del Cnf Francesco Greco, il vicepresidente Francesco Napoli, che ha ricordato Guido Alpa, scomparso ieri sera: «Giurista, avvocato, accademico e presidente emerito del Consiglio nazionale Forense, in cui ha ricoperto un ruolo di primo piano per vent’anni, dieci dei quali da presidente. Il saluto commosso della sala testimonia il segno profondo che ha lasciato. Ringrazio inoltre per la sensibilità e l’attenzione costante che la Fai e il quotidiano Il Dubbio dedicano al tema delle marginalità e del carcere, che conferma il ruolo sociale fondamentale dell’avvocatura». Il presidente dell’Ordine degli avvocati di Perugia, Carlo Orlando, ha affrontato gli aspetti dei diritti fondamentali delle donne detenute: «È una questione di diritti e dignità. L’avvocatura deve essere in prima linea per garantire tutele efficaci e percorsi di reinserimento concreti».
Per la sindaca di Perugia, Vittoria Ferdinandi, «le sfide che abbiamo di fronte sono importanti e il lavoro interistituzionale è la direzione giusta. Le istituzioni devono essere luoghi dove costruire comunità. Una delle più grandi urgenze che abbiamo di fronte è quella della coesione sociale, perchè oggi viviamo in società sempre più frammentate, e questo ci lede profondamente. Costruire comunità coese significa costruire comunità solide. L’Ordine degli avvocati ci porta qui oggi con un tema che ragiona sui margini dei margini: come istituzioni, dobbiamo imparare a offrire risposte efficaci ai margini e alle fragilità. Le donne in carcere sono il margine del margine».
Il vicepresidente della Fai-Fondazione avvocati italiani, Vittorio Minervini, ha infine sottolineato: «Da Perugia parte questo percorso sul carcere e le condizioni delle detenute, che si concluderà a Torino in occasione del Congresso Nazionale Forense, anche con la proiezione di un video attualmente in fase di preparazione».
«Si deve migliorare tutto nelle carceri italiane perchè, pur essendo le donne una estrema minoranza della popolazione detenuta, su 62mila detenuti nelle carceri italiane le donne sono 2.700, le carceri per le donne e la loro detenzione sono concepite al maschile perchè troviamo la maggior parte delle donne detenute nelle strutture maschili, con una sezione a parte. Questo significa difficoltà ad usufruire dei servizi che sono concepiti al maschile», ha detto Rita Bernardini, presidente dell’associazione «Nessuno tocchi Caino» che ha ricordato come attualmente ci siano 14 bambini che vivono nelle carceri con le madri detenute.
Nella parte conclusiva della giornata, il confronto sulla necessità di ripensare l’edilizia penitenziaria in un’ottica di architettura orientata al recupero e al reinserimento sociale dei detenuti. Che è stata l’occasione per riflettere sulla parte del ddl Sicurezza che cancella il deferimento obbligatorio della detenzione per donne incinte o con figli di età inferiore a un anno. Per Debora Serracchiani (Pd), la modifica stessa è «una norma di inciviltà». E sugli Icam, «che non ci piacciono, preferiremmo le case protette, ma che siano luoghi dove scontino le pene le donne e non i figli», ha ribadito la necessità di investire nella loro realizzazione, invece di puntare a «costruire nuove carceri o riempire gli spazi degli attuali». «Il Governo sta tornando indietro non di trent’anni, ma agli anni Trenta, con ddl sicurezza che elimina il differimento obbligatorio della detenzione delle donne in gravidanza o con figli piccoli» ha incalzato Maria Elena Boschi di Iv.
«Personalmente avrei preferito che la norma sul differimento obbligatorio non fosse stata modificata, credo sia un fatto di civiltà. Però dobbiamo anche precisare quello che ha mosso il governo, ovvero l’evidenza di casi in cui questa misura, anzichè provocare un rinsavimento e quindi un ritorno sulla retta via, l’astensione da comportamenti devianti anche per rispetto della maternità in alcuni casi ha portato alla reiterazione di alcune fattispecie di reati» ha spiegato Mariastella Gelmini (Noi moderati - Centro popolare). Con la senatrice di FdI, Donatella Campione, un’apertura verso una rivalutazione della modifica che si trova ora al vaglio del Senato: «Sulle detenute madri si sta svolgendo in commissione congiunta in Senato un dibattito approfondito. La conclusione è che è necessaria una riflessione per trovare una soluzione che concili la necessità di evitare che alcune donne possano approfittare della condizione di madre incinta o con bambini per commettere nuovi reati con la tutela dei diritti minori».