Anche la Conferenza nazionale dei Garanti territoriali delle persone private della libertà aderisce alla manifestazione di oggi organizzata a Roma dalla Rete nazionale “A Pieno Regime” contro il ddl Sicurezza. Un grido di allarme che emerge da un contesto carcerario già drammaticamente compromesso, dove sovraffollamento, disperazione e un numero allarmante di suicidi tra detenuti e agenti di polizia penitenziaria descrivono una situazione esplosiva.

I rappresentanti dei Garanti territoriali, guidati dal portavoce Samuele Ciambriello e dal coordinamento nazionale, denunciano una serie di norme che rischiano di violare principi costituzionali fondamentali. L’analisi critica investe diversi aspetti del disegno di legge, a partire dalla cancellazione del differimento obbligatorio della pena per donne in gravidanza e madri con figli di età inferiore a un anno - un provvedimento definito un «enorme passo indietro» rispetto alla tutela della maternità e dell’infanzia. L’aspetto più inquietante del disegno di legge riguarda la progressiva erosione degli spazi di dialogo e protesta all’interno delle istituzioni totali.

Il nuovo articolo 415 bis del codice penale si configura come un pericoloso grimaldello giuridico che rischia di soffocare qualsiasi forma di dissenso nelle strutture penitenziarie. La norma non solo minaccia di punire le proteste pacifiche, ma sembra incarnare una logica volta a neutralizzare preventivamente ogni possibile manifestazione di disagio.

Lo sguardo dei Garanti si allarga poi alle strutture di trattenimento per i migranti, dove il rinnovato articolo 14 del Testo Unico sull’Immigrazione prefigura scenari ancora più preoccupanti. La norma, nella sua formulazione attuale, non distingue tra forme di resistenza violenta e manifestazioni di dissenso civile, equiparando pericolosamente la rivolta alla minaccia, l’organizzazione collettiva alla sovversione. Un approccio che rischia di criminalizzare persino gesti simbolici di protesta come lo sciopero della fame, qualora siano condivisi da tre o più persone. Dietro queste norme serpeggia

un’inquietante filosofia punitiva che sembra voler reprimere sul nascere ogni forma di contestazione, ogni tentativo di rendere visibile un disagio che le istituzioni preferirebbero rimuovere. È come se si volesse silenziare non solo le voci più critiche, ma lo stesso concetto di dialogo e mediazione all’interno di contesti già fortemente squilibrati come quelli detentivi.

L’APPELLO AL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA

I Garanti territoriali si appellano direttamente al ministro della Giustizia, chiedendo un intervento prima che il Senato approvi definitivamente disposizioni che hanno un «impatto esplosivo» e appaiono di dubbia legittimità costituzionale. Lo scenario descritto è quello di un sistema penitenziario al collasso. Più di ottomila persone detenute con un residuo di pena inferiore a un anno potrebbero essere scarcerati attraverso interventi mirati, come la liberazione anticipata “speciale”, che tuttavia il Parlamento sembra non voler considerare. La manifestazione di oggi rappresenta un momento cruciale di mobilitazione contro quello che i Garanti definiscono un approccio meramente securitario, che rischia di travolgere i principi di umanità e riabilitazione che dovrebbero essere alla base del sistema giudiziario e penitenziario. I firmatari del documento - tra cui i garanti Bruno Mellano, Valentina Calderone, Valentina Farina, Giuseppe Fanfani, Francesco Maisto e Veronica Valenti - rappresentano un fronte unitario di preoccupazione che chiede al legislatore di riconsiderare un approccio che appare più punitivo che risolutivo.