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ddl civile
«No, guardi, evitiamo alibi. Non c’entrano le tagliole europee. Le fiducie non dipendono dalle scadenze del Recovery. Piuttosto, il cosiddetto governo dei migliori è in realtà ispirato dall’arroganza di chi si sente autosufficiente, e quindi superiore a tutto. Alla democrazia e al Parlamento». Alberto Balboni ha appena sfoderato una durissima requisitoria, nell’aula di Palazzo Madama, contro la riforma del processo civile. Senatore di Fratelli d’Italia, vicepresidente della commissione Giustizia, avvocato, è tra i pochi a schierarsi con le rappresentanze forensi nella critica al ddl Cartabia: «Solito sbilanciamento: tempi, preclusioni e decadenze ineluttabili per le parti e le loro difese, prateria indefinita per i giudici. Che senso ha?».
Lei in Aula ha detto: nella migliore delle ipotesi vi siete piegati a teorici mai entrati in un tribunale.
E lo ribadisco. Sono norme cervellotiche, senza senso. Viene stravolto un rito processuale collaudato. Parti costrette ad anticipare tutte le domande e le memorie. Con una duplice paradossale conseguenza. Prima di tutto, l’intervallo compreso fra la notifica dell’atto di citazione e l’udienza di comparizione si allunga anziché ridursi.
Poi però il giudice dovrebbe avere migliore cognizione per accelerare il calendario.
E cosa garantisce che arrivi davvero preparato alla prima udienza? Sappiamo solo che le parti si vedono assurdamente compresse nelle loro facoltà, insidiate da preclusioni e decadenze come tranelli. Devono portare sul tavolo del giudice, alla prima udienza, ogni elemento. Sì, il magistrato stila un calendario. Ma dove sta scritto che non può modificarlo?
Ah, può modificarlo?...
E certo. Non c’è una norma che glielo impedisca. Dopo, può prendersi il tempo che vuole. Lui. Sa cosa dimostra, questo?
Cosa?
Che chi ha concepito un sistema del genere, in realtà analogo eccome al disastroso e abolito vecchio modello del diritto societario, non è mai entrato in un’Aula di giustizia. E che non ci si rende conto della vera priorità.
Non certo l’urgenza di mettere pressione e ostacoli alle parti, ma rafforzare gli organici. La guardasigilli Cartabia lo sa bene, perché, come le ho ricordato nella mia dichiarazione di voto, il suo ministero è presidiato quasi solo da magistrati, sottratti evidentemente ai Tribunali. Di giudici, in Italia, ne mancano all’appello 800. Oltre al 40 per cento del personale amministrativo. A riprova che sia qui il vero nodo della giustizia, basterebbe citare il caso del mio Foro, Ferrara: virtuosissimo, perfettamente in grado di rispettare scadenze e tempi ragionevoli, a differenza di altri dove si va alle calende greche. Vuol dire che il rito funziona. Che dove si accumula arretrato ci sono problemi di altra natura. E che sarebbe bastato dare più ascolto agli avvocati.
Non se ne sono visti nelle stesse commissioni di studio per le riforme, a parte gli accademici ancora iscritti all’Albo.
Non si è ascoltato il punto di vista di chi materialmente opera nei tribunali. Gli avvocati appunto. Non a caso adesso il Cnf, l’Unione Camere civili e l’intera avvocatura sono nettissimi nel contestare la riforma. Sono stati ignorati. Cosa che nel civile è ancora più improvvida.
In che senso?
Quello civile è un processo dispositivo. Lo ha statuito una pronuncia a sezioni unite della Cassazione, che appunto Cnf e civilisti hanno inutilmente richiamato alla maggioranza. In pratica, secondo la Suprema corte l’obiettivo della procedura civile non deve essere solo ridurre i tempi della singola controversia ma lasciare alle parti la possibilità di definire tutti i rapporti intercorrenti fra loro. Con le preclusioni e le decadenze previste dal ddl, questo sarà impossibile.
Con quali conseguenze?
Che seppure dovessimo risparmiare 6 mesi sulla singola causa, sarà necessario dare corso ad altri tre o quattro ulteriori giudizi per risolvere le questioni connesse ma rimaste in sospeso. Sempre che quei 6 mesi siano davvero risparmiati.
In che modo potevano essere imposti al giudice termini per il deposito delle sentenze?
Se i termini per le parti diventano soffocanti, nel caso del giudice restano ordinatori, cioè ignorabili. Il magistrato virtuoso caricherà il proprio lavoro nei tempi, quello meno virtuoso se la prenderà comoda, esattamente come oggi. Basterebbe incentivare le condotte responsabili, anche con vantaggi nella carriera.
Lei ha provato a suggerire queste soluzioni?
Sì, e mi sono limitato a 20 emendamenti. Cosa sarebbe costato discuterli in Aula? Due ore di dibattito? Niente: maxiemendamento e voto di fiducia. Parlamento ridotto a inutile orpello. Democrazia calpestata. Esecutivo e partiti di governo sono stati solidali nel mostrare, con la riforma civile, un atteggiamento vessatorio nei confronti dei cittadini. O appunto una sudditanza verso tecnici che vivono di sola teoria.
C’è qualcosa da salvare nella riforma?
Certo: il Tribunale di famiglia e le nuove regole sugli affidi. Noi di Fratelli d’Italia ne avevamo fatto un ddl, poi la commissione Giustizia è riuscita a recuperare quelle norme, sollecitate anche dal Cnf, nel ddl delega. Ma il giudizio generale resta molto negativo. Si pensi anche a novità come il potere del giudice di trarre argomento di prova dall’inattività della parte. O alla sanzione pecuniaria, fino a diecimila euro, per chi si vede rigettare in appello la richiesta di sospensione della condanna inflitta in primo grado.
I processi si accorceranno?
Credo proprio di no. Come ricordato, e come detto più volte dai rappresentanti dell’avvocatura, le complicazioni introdotte in vista della prima udienza rischiano di allungare tutto. Mi sembra una foglia di fico esibita alla Commissione europea.
E l’ufficio del processo?
Parliamo di 2.500 giovani laureati che dovrebbero scrivere le minute delle sentenze per i giudici. Io con molti giudici monocratici ne ho parlato, il 90 per cento di loro è totalmente scettico: perderanno più tempo a correggere il lavoro dei giovani che a scriversi le sentenze da soli. Faccio l’avocato da quarant’anni. So che affidare la scrittura degli atti ai praticanti significa dover perdere tempo poi a riscriverli in buona parte, ma almeno io li formo. Invece quei 2.500 sono a tempo determinato, neppure si potrà dire di aver istruito il futuro personale della giustizia. Al massimo avranno tutoli di preferenza per i concorsi. Una scommessa al vento. Si sarebbe dovuto investire sugli organici. E invece ci si è abbattuti sui diritti delle parti. Cioè sui cittadini. Senza ascoltare l’avvocatura. Ditemi davvero che senso ha.