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«Al momento non sono state proclamate astensioni dalle udienze», dice il presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano Remo Danovi a proposito della legge 124 che apre ai soci di capitale negli studi legali. La disposizione, inserita all’interno del ddl sulla concorrenza, fortemente voluto dal ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda ma con l’avallo dell’intero esecutivo, ha suscitato aspre critiche da parte del Consiglio nazionale forense e del mondo giuridico.
«Complice, forse, l’approvazione e l’entrata in vigore in pieno agosto, al di là di alcuni autorevoli interventi - in particolare sul Dubbio, a cominciare dall’editoriale del direttore - non vedo una grande mobilitazione», prosegue Danovi.
«La maggiore anomalia della riforma - aggiunge il presidente dell’Ordine di Milano - è rappresentata dall’inversione dei caratteri tipici di una disciplina della concorrenza. In un sistema di mercato la concorrenza è libera. Il legislatore interviene per riequilibrare le asimmetrie informative ( specie in ambito finanziario) o lo squilibrio nel potere contrattuale delle parti: lavoratori e imprese; consumatori rispetto ai produttori o ai fornitori di servizi. Ovviamente lo fa a favore del più debole. Ma, nei confronti dei servizi legali, affermare che le imprese siano la parte debole rispetto agli avvocati è un’assurdità. E lo dimostra il tentativo di porre un argine al loro strapotere, con il ddl del governo sull’equo compenso agli avvocati».
Salva la possibilità di un futuro accoglimento di eccezioni di incostituzionalità, la legge 124 entrata in vigore lo scorso 29 agosto è destinata ad apportare significative modifiche alla professione di avvocato.
Danovi ha sempre avversato questa riforma, definendola «infausta». L’Ordine degli avvocati di Milano, poi, ha espresso la sua contrarietà fin dal 2015 con due delibere.
Va ricordato che questa legge ha avuto un percorso alquanto travagliato: 130 audizioni in Commissione e oltre 1700 emendamenti presentati.
Due anni di accese discussioni che, alla fine, hanno consigliato al governo di approvare il provvedimento ricorrendo al voto di fiducia.
«Le società forensi di capitale non migliorano né la professione né la concorrenza, e apriranno varchi nella gestione dell’attività professionale da parte di grandi realtà economiche, che non sempre agiranno nell’esclusivo interesse degli assistiti e, in casi estremi, potrebbero farsi portatrici di interessi opachi», sottolinea Danovi, secondo cui «la logica della redditività e il perseguimento delle pur legittime finalità economiche da parte del socio non professionista- investitore tenderanno a prevalere su ogni altra considerazione legata al diritto costituzionale di difesa».
Come ebbe modo di dichiarare a questo giornale il presidente dei costituzionalisti Massimo Luciani, «con l’entrata di soci di capitale c’è il serio rischio di compromettere l’indipendenza dell’avvocatura, anche se gli avvocati italiani si renderanno di fatto indisponibili a queste logiche di tipo mercantile».
Il governo ha sempre dichiarato che favorire la concorrenza tra i servizi professionali è conforme ai princìpi dell’Unione europea. «Enunciazioni senza riscontro, come dimostrano le ricerche sulle normative degli altri Stati europei e persino degli Stati Uniti, ed è anzi singolare che - in questo scenario, mitizzato e poco conosciuto - l’Italia abbia voluto strafare», replica Danovi.
Altri aspetti criticati dall’avvocatura riguardano l’incertezza dell’inquadramento fiscale, degli aspetti previdenziali, l’assenza di regolazione delle crisi societarie, la mancata ripartizione delle competenze tra i diversi ordini a cui appartengono i soci delle società multidisciplinari. Tutti aspetti sui quali il governo, per il tramite del sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri ha già affermato che sarà necessario un monitoraggio.
Ciò comunque non muta il quadro d’insieme e cioè che «la difesa non è un servizio reso al mercato, né la professione forense può essere organizzata come un Caf, un centro di assistenza fiscale. Molte imprese, e il loro mondo associativo e rappresentativo, hanno in mente proprio questo: un Cal, un centro di assistenza legale pronto ad esaudire le richieste del socio di capitale», conclude Danovi.