PHOTO
PRESENTAZIONE DELL AREA INDUSTRIALE INTERNA DEL CARCERE DI BOLLATE
L’ emergenza carceraria in Italia è una ferita aperta che non si riesce a rimarginare, un problema strutturale che si trascina da decenni e che nel 2024 ha raggiunto un punto di rottura. Con un tasso di sovraffollamento del 132%, una crescita esponenziale dei suicidi in carcere e una carenza di personale ormai drammatica, il nostro Paese rischia di subire nuove sanzioni dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, come già avvenuto con la storica sentenza Torreggiani del 2013.
Di fronte a una crisi che minaccia di trasformarsi in una vera e propria emergenza umanitaria, il Parlamento ha deciso di intervenire con la mozione 1/00406, presentata dall’onorevole Davide Faraone e sottoscritta da esponenti di diverse forze politiche, dal Partito democratico ad Azione, da Alleanza Verdi-Sinistra a + Europa. Il testo, depositato alla Camera il 27 febbraio, rappresenta un segnale forte: la politica torna a interrogarsi sulle condizioni di vita all’interno delle carceri e impegna il governo a intervenire con urgenza, in modo da porre rimedio a una situazione che da troppo tempo è fuori controllo.
I numeri contenuti nella mozione offrono uno spaccato impietoso della realtà: a fine 2024, i detenuti presenti nelle strutture penitenziarie italiane erano 61.861, a fronte di una capienza effettiva di 46.837 posti, con un incremento di quasi seimila unità in appena due anni, mentre il numero degli istituti rimane invariato e l’adeguamento delle risorse è fermo da tempo. Il tasso di suicidi ha raggiunto livelli mai visti: nell’ultimo anno si sono registrati 246 morti in carcere, di cui 89 per suicidio. E nei primi due mesi del 2025 la scia di sangue non si è arrestata, con altri 16 suicidi e 31 decessi per altre cause.
Al quadro allarmante della condizione detentiva si aggiunge la cronica carenza di personale. Nei penitenziari italiani mancano oltre seimila agenti di polizia penitenziaria. Gli educatori sono appena 983 in tutta Italia, con carichi di lavoro insostenibili che arrivano fino a un operatore ogni 150 detenuti nelle strutture più sovraffollate. Sul fronte della magistratura di sorveglianza la situazione non è migliore: appena 236 giudici per tutto il Paese, costretti a gestire oltre centomila detenuti in attesa di una decisione sulle misure alternative. Le carceri della Campania rappresentano l’epicentro di questa crisi. A Napoli, Poggioreale è diventato il simbolo del fallimento del sistema penitenziario italiano. Costruito nel 1914 per ospitare poche centinaia di detenuti, oggi ne accoglie oltre duemila in condizioni al limite della dignità umana. Celle progettate per tre persone ospitano fino a dieci detenuti. Il disagio psicologico tra i reclusi è ormai diffuso e il sistema non è in grado di offrire un supporto adeguato. Il quadro non è migliore negli altri istituti campani, da Secondigliano a Santa Maria Capua Vetere, da Benevento agli istituti per minori, dove la presenza di giovani detenuti è in crescita e il sovraffollamento ha raggiunto soglie allarmanti.
La mozione parlamentare non si limita a fotografare una realtà già ben nota, ma propone un piano d’azione per affrontare l’emergenza in maniera strutturale. Si sollecita il governo a intervenire per ridurre il sovraffollamento, e a rivalutare la proposta Giachetti sulla liberazione anticipata speciale, che potrebbe portare alla scarcerazione di quasi ventimila detenuti con pene brevi. L’assunzione di nuovo personale, sia per la polizia penitenziaria che per il settore educativo e sanitario, è un’urgenza non più rinviabile.
Il rafforzamento della magistratura di sorveglianza è essenziale per garantire tempi certi nella concessione delle misure alternative e per ridurre il numero di persone in custodia cautelare, che ancora oggi rappresentano quasi il 25% della popolazione carceraria. La mozione interviene anche su altre questioni cruciali, come l’attuazione della sentenza costituzionale n. 10/2024 che garantisce ai detenuti il diritto ai colloqui intimi, il miglioramento delle condizioni di salute all’interno delle carceri attraverso una cabina di regia tra i ministeri della Giustizia e della Salute e la revisione del ddl Sicurezza per evitare che le madri con figli piccoli vengano incarcerate.
L’iniziativa parlamentare segna un punto di svolta in un dibattito che per anni è rimasto ai margini del discorso pubblico, relegato a sporadiche denunce delle associazioni per i diritti umani e a interventi emergenziali privi di una strategia di lungo periodo. Dopo la condanna della Cedu nel 2013, l’Italia aveva avviato un percorso di riforme, poi abbandonato. La pandemia aveva momentaneamente ridotto la popolazione detenuta, ma dal 2022 il sovraffollamento è tornato a crescere, senza che vi sia stata una risposta strutturata. Mentre in Paesi come la Francia, la Germania e la Spagna si adottano modelli di detenzione alternativa per le pene brevi, in Italia la logica punitiva continua a prevalere su quella rieducativa, con il risultato di intasare le carceri e compromettere il reinserimento sociale di chi ha già scontato la propria pena.
Ora il governo dovrà rispondere: la politica avrà il coraggio di affrontare l’emergenza con una riforma vera, o si continuerà a inseguire soluzioni tampone che lasciano inalterato un sistema marcio dalle fondamenta? L’Italia è chiamata a una scelta chiara: rispettare la propria Costituzione e gli impegni internazionali o rassegnarsi a essere nuovamente condannata per il trattamento inumano dei propri detenuti. Quel che è certo è che il tempo delle parole è finito. Servono riforme vere, coraggiose, capaci di restituire alla giustizia il volto che la Costituzione le ha assegnato.
*Avvocato penalista, responsabile Giustizia di Italia Viva