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Csm, le correnti trionfano
E va bene, le correnti vincono. Non solo: vincono le correnti forti. La “destra” e la “sinistra” dei magistrati, innanzitutto. MI e Area dettano legge alle elezioni per il futuro Csm. Riguadagna terreno, con un colpo di reni imprevedibile, persino Unicost, il gruppo che fu del “supercattivo” Palamara. Entra in plenum pure la storica sigla di sinistra, Md. Solo l’outsider Andrea Mirenda, sostenuto dai “ribelli” di Altra proposta, guasta un quadro altrimenti rispettoso della tradizione. I magistrati l’hanno fatta franca, insomma. Come i “colpevoli assolti per puro caso” cari a Piercamillo Davigo. Ma è proprio così? Ora, il Fatto quotidiano, che è su distanze galattiche rispetto alla linea del Dubbio ma che sulla giustizia ha giornalisti assai preparati, tira acqua al proprio mulino. Cioè se la prende con Cartabia. E dice che la riforma della ministra ha fatto flop. Non è servita ad arginare il correntismo, ha lasciato i vecchi potentati negli scranni del plenum Csm. Che, almeno per la parte togata, resterà tale e quale ai precedenti: una carrellata di giudici e pm con i piedi ben piantati nelle solite liste forti. Ma dov’è lo scandalo? Perché mai dobbiamo inorridire per la seduzione che, tra la maggioranza dei magistrati, ancora esercitano le correnti, cioè le cordate politiche interne? È così ovunque, dai consigli d’istituto all’Onu. Vuoi vedere che l’unico ambiente sterile del mondo democratico dev’essere proprio quello delle toghe? Diciamolo: la crociata anti-correnti ha qualcosina di sgradevole, di sottilmente antidemocratico: la pretesa di spazzar via il pluralismo dalla magistratura non suona bene, sa di nostalgie centraliste, di Stato autoritario. A noi del Dubbio non è mai piaciuta. Abbiamo sempre detto che le correnti vanno difese da chi pretende di abolirle. Ne restiamo convinti. Anche ora che Giulia Bongiorno e Carlo Nordio rilanciano il sorteggio per il Csm. Potremmo aggiungere dettagli tecnici. E per esempio, che finché permane, alle elezioni per i togati del Csm, la opportuna distinzione fra candidati provenienti dal giudicante, dal requirente e dalla legittimità, è impossibile avere un sistema basato su collegi piccoli. In un quadro simile, che sembra difficile da cambiare senza correre il rischio di avere un plenum invaso da soli pubblici ministeri, il magistrato estraneo alle correnti, seppur popolare fra i colleghi del suo distretto, partirà sempre con l’handicap. In realtà, la riforma Cartabia non poteva far altro che accontentarsi della divisione in appena 4 macro-collegi. E come avrebbero potuto vincere, su un ring così esteso, le toghe che non hanno alle spalle i soliti gruppi associativi? C’è un’altra cosa: a noi non piace la crociata con le correnti dei magistrati anche perché sa di antipolitica. Ricorda la fatwa contro i partiti emessa, dal popolo e dalle Procure, già con Mani pulite. Sempre meglio i corpi intermedi, che si tratti di formazioni politiche o di associazioni dei magistrati. Meglio ancora, certo, se le une e le altre evitano di trattare la cosa pubblica come affare privato. Ma le distorsioni non giustificano la rinuncia al pluralismo. Quella fa comodo solo a chi considera la democrazia un orpello, come certi pm allergici alle garanzie del giusto processo.