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Era il ’ 92. Sono passati ventisette anni. In mezzo Tangentopoli, il conflitto fra Berlusconi e i magistrati, il protagonismo anche politico di tanti pm. Però, quel quarto di secolo abbondante ha un punto d’inizio: Milano. Fa dunque pensare il fatto che lunedì sera sia stata proprio la sezione Anm del capoluogo lombardo a formalizzare, al temine di un’assemblea incredibilmente affollata, il riconoscimento di una «questione morale» all’interno della magistratura.
È con questo macigno psicologico e, appunto, morale sulle spalle che inizia il plenum del Csm più pesante nella storia dell’autogoverno. Peso che vibra nelle parole del vicepresidente David Ermini: basta con le «degenerazioni del correntismo: o sapremo riscattare con i fatti il discredito che si è abbattuto su di noi o saremo perduti».
E il riscatto, secondo Ermini, passa per l’addio alle «logiche spartitorie» nell’assegnazione degli incarichi, che devono essere «messi al riparo da interessi esterni». Un discorso così coraggioso che a riconoscerne il valore, nel dibattito subito apertosi ieri pomeriggio, sono tutti: togati e laici. A cominciare dalla consigliera magistrata, Alessandra Dal Moro, a cui l’intero plenum affida una dichiarazione congiunta, che in sé rappresenta un piccolo spiraglio: l’onda nera del caso Palamara e della cena con Lotti rappresenta un «tragico epilogo della degenerazione» dell’associazionismo giudiziario, a cui si risponde con «percorsi di riforma e di autoriforma» .
Sia il vertice che il cuore dell’assemblea danno vita dunque a una seduta aperta all’autocritica e a propositi di rinnovamento. Un atto di «responsabilità», parola che risuona spesso, in tutti gli interventi, e che ha due matrici. La prima viene dal Colle. Il discorso di Ermini è fortissimo, di una intensità senza precedenti almeno nella storia delle ultime consiliature, e ha ottenuto la piena approvazione di Sergio Mattarella, presidente anche del Csm.
La seconda chiave decisiva è nel passo indietro dei togati colpiti dalle indagini o solo dall’uragano mediatico. Sono definitive le dimissioni di Luigi Spina, acquisite formalmente ieri, l’ormai ex consigliere di Unicost indagato, con Luca Palamara e Stefano Fava, dai pm di Perugia. Si autosospendono altri tre componenti togati: oltre ai consiglieri di Magistratura indipendente Corrado Cartoni e Antonio Lepre, anche a due colleghi neppure citati nei retroscena. Uno è Paolo Criscuoli, anche lui di “Mi” come i due magistrati ( Cartoni e Lepre) “accusati” di aver visto a cena Cosimo Ferri e Luca Lotti, e parla di «un pericoloso clima di caccia alle streghe». L’altro è Gianluigi Morlini, di “Unicost” come Spina e Palamara e soprattutto ormai ex presidente della quinta commissione, l’organismo ristretto del Csm deputato alle nomine e teatro della discussione da cui si è sprigionato il terremoto, quella relativa al futuro procuratore di Roma.
Mai nulla del genere si era verificato. Mai la magistratura italiana era stata devastata da un sisma così violento - e sempre più assimilabile, anche in queste drammatiche autoesclusioni, a quella stagione di Mani pulite in cui proprio i magistrati ebbero ben altro ruolo. Lo sa bene Ermini, che apre una seduta destinata a segnare il futuro dell’organo di autogoverno, al di là della parziale attenuazione dello scontro fra i diversi gruppi in Consiglio. «Gli eventi di questi giorni hanno inferto una ferita profonda e dolorosa alla magistratura e al Consiglio superiore», dice il vicepresidente, «che senza una forte assunzione di responsabilità perderà irrimediabilmente la sua credibilità». Tradotto: basta degenerazioni correntizie, basta «appartenenze» che prevalgono sulla funzione del Consiglio, che «è e deve essere la nostra sola casacca, altre non ne abbiamo» ; e ancora, ciascuno «tenga conto dell’esempio che proviene dal Capo dello Stato», citato da Ermini non a caso.
E, per arrivare al sodo, si faccia in modo che «le nomine seguano il rigoroso criterio cronologico» senza raggrupparle in modo da indurre «il sospetto di essere state compiute nell’ambito di logiche spartitorie». Niente «preventivi accordi» anche su «uffici» come la Cassazione, terreno dove più tipicamente si attua la pratica delle nomine “a pacchetto”. Fino all’affondo durissimo che Ermini rivolge alle correnti: siano «luogo di impegno civico e laboratorio di idee valori, di dibattito sulla giustizia», ma basta con i «giochi di potere» e i «traffici venali di cui purtroppo è evidente traccia nelle cronache di questi giorni».
L’appello del vicepresidente a una reazione «chiara e rapida» viene colta da tutti. Aiuta a distendere gli animi la scelta di affidare la dichiarazione congiunta di tutti i togati e di tutti i laici a chi, come Dal Moro, proviene dal gruppo di Area, quello passato dalla minoranza in molte decisioni all’attuale “posizione di forza” perché estraneo, finora, all’indagine di Perugia e alla scena velenosa allestita dai retroscena. Nel documento letto da Dal Moro si apprezza anche la «dignitosa scelta» delle dimissioni o dell’autosospensione compiuta da Spina e dagli altri. Ma la tenuta della tregua armata tra le correnti dovrà reggere intanto alla prova del direttivo dell’Anm convocato per oggi, in cui proprio la componente progressista potrebbe uscire dalla giunta unitaria e provocare lo “scioglimento anticipato” dell’attuale “parlamentino”.
La concorrenza si riproporrà a breve nelle elezioni suppletive da cui verrà il nome del sostituto di Spina. Il capogruppo di Area Giuseppe Casini, nel plenum di ieri, si associa ai propositi di «autoriforma» ma non si trattiene dal denunciare la «smania di potere» che ha prevalso sulle stesse «correnti», ormai «deboli come altri corpi intermedi». A parlare per “Mi”, gruppo dell’attuale leader dell’Anm Pasquale Grasso e messo in difficoltà al pari di Unicost da cui proveniva Palamara, è Paola Braggion, che mette nel mirino però anche «attacchi, illazioni e critiche», e dà così idea di non voler accettare ogni retroscena come una sentenza di condanna irrevocabile. Se dev’essere diversa da Tangentopoli, la crisi del Csm dovrà almeno evitarne le sentenze anticipate.