Tensione al
Csm sulle nomine interne. Con 5 voti a favore , 12 contrari e 4 astenuti il plenum ha clamorosamente bocciato la proposta del Comitato di presidenza guidato da
David Ermini di nominare direttore dell'Ufficio Studi la consigliera togata di Unicost
Concetta Grillo. Un dissenso esplicito non sulla persona scelta dal vice presidente e dai vertici della
Cassazione, ma sul metodo seguito, apparso poco trasparente e non fondato sulla condivisione, ai consiglieri più critici, stavolta senza steccati tra togati e laici. Accuse rigettate da Ermini («
Il Comitato si è mosso nel rispetto delle regole e in modo chiaro»), deciso a non tornare indietro e dunque a non ripristinare trattative con i capigruppo, cioè innanzitutto con i rappresentanti delle correnti, su scelte di sua esclusiva competenza o del Comitato.
Csm, Ufficio Studi nevralgico per i pareri legislativi
L'Ufficio Studi ha un ruolo cruciale, visto che predispone i pareri sulle riforme legislative in materia di Giustizia, che il Csm dà di sua iniziativa o su richiesta del ministro in carica. La sua direzione è stata sinora affidata sempre al presidente della
Sesta Commissioni, cui fanno capo i pareri e le risoluzioni del Csm. Stavolta però il Comitato ha deciso di procedere diversamente. Ma il malumore diffuso tra i consiglieri si spiega con quanto accaduto anche con la nomina dei presidenti delle Commissioni. Ne ha parlato espressamente
Giuseppe Cascini (Area): «Nelle scelte da ultimo adottate sulla composizione delle Commissioni e delle presidenze e su quella di oggi è mancata quella fase di confronto anche informale che nella storia del Csm ha sempre garantito l'individuazione di soluzioni condivise». LEGGI ANCHE:
«Caro Pignatone, per velocizzare i processi aboliamo l’appello dei pm» «Non ho nessuna intenzione di concordare Commissioni e direzione dell' Ufficio Studi con i capigruppo che non esistono più.
Era una prassi che avevo iniziato e che ho interrotto. Questo deve essere chiaro per tutti», la replica secca di Ermini. La palla ora torna a lui, al primo presidente della Cassazione
Pietro Curzio e al procuratore generale
Giovanni Salvi, che potrebbero anche riproporre lo stesso nome o cambiare candidato. Il rischio concreto è quello di un braccio di ferro inedito tra il vicepresidente e i consiglieri, quasi alla fine del loro mandato, segnato sin dall'origine dalla «vicenda Palamara».