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«Restituire credibilità ed efficienza alla giustizia costituisce oggi più che mai una necessità: nella crisi sociale ed economica, aggravata dalla pandemia, dobbiamo fare in modo che la giustizia non diventi un problema ma sia parte della soluzione dei problemi, contribuendo a restituire al Paese coesione sociale e competitività. Le condizioni ci sono tutte, il punto è saper cogliere le opportunità che la crisi ci ha dato e mettere a frutto la lezione che ci ha lasciato», afferma la dottoressa Cristina Ornano, giudice a Cagliari e presidente nazionale di Areadg, il raggruppamento della magistratura progressista.
Presidente, il governo è cambiato, il guardasigilli anche. Da dove partire?
Urga cambiare metodo e approccio, abbandonando steccati e conflitti. Serve confronto e condivisione per trovare soluzioni strutturali e di ampio respiro che rispondano realmente all’interesse generale.
Cosa non andava nel metodo precedente?
La condivisione presuppone il confronto nel momento in cui si elaborano le proposte. Chiedere un parere quando una proposta di riforma è ormai bella e fatta è una cosa completamente diversa.
Ha fiducia nella ministra Marta Cartabia?
Sì, perché ha già dato prove positive in tal senso e perché è una donna che esprime insieme alla sua sensibilità competenze e valori molto alti: un mix che può fare la differenza.
Parliamo invece di opportunità.
Abbiamo un’occasione unica e imperdibile offerta dai fondi europei del Next Generation Eu, che ci danno la possibilità di progettare riforme strutturali e di medio e lungo periodo in modo da guardare, più che al processo, all’organizzazione giudiziaria, alla digitalizzazione, all’innovazione tecnologica, all’intelligenza artificiale. Tenendo sempre presente che il personale giudiziario dovrà essere il motore dell’innovazione organizzativa. E a tal proposito, l’unico settore nel quale negli ultimi dieci anni abbiamo avuto un recupero di efficienza, ossia il civile, è quello nel quale vi è stato un serio investimento in termini di innovazione tecnologica con il Pct.
Un commento sulla riforma dell’ex ministro?
Premesso che non ci servono più leggi manifesto, per dire che si è fatto qualcosa ma senza risolvere nulla o addirittura aggravando le cose, la riforma Bonafede era molto articolata e, quindi, lo è anche il giudizio su di essa. Alcune parti, penso all’organizzazione delle Procure, sono certamente apprezzabili; altre, come quelle che pretendono di assicurare tempi ragionevoli alla durata del processo imponendo ai magistrati di rispettare termini che non sono nella loro disponibilità e sanzionandone l’inosservanza con il disciplinare, sono totalmente irricevibili. Non servono ad assicurare una giustizia efficiente e giusta e si traducono in misure punitive contro i magistrati, veicolando il messaggio falso per cui le lentezze della giustizia sarebbero causate dalla nostra scarsa laboriosità. Cosa che anche l’ultimo rapporto Cepej smentisce. Anche il blocco della prescrizione, se non verrà controbilanciato da misure, come la prescrizione processuale, rischia di affossare definitivamente il processo penale e di tradursi in un capestro inaccettabile per le persone coinvolte nel processo. Su questo terreno è necessario un intervento di seria e coraggiosa depenalizzazione che alleggerisca il carico penale ormai insostenibile. In Italia ci sono troppi reati e troppi imputati e questo nuoce ad una azione di serio contrasto alla vera criminalità.
Una riforma che andava fatta e che vorrebbe veder recuperata?
Penso in particolare a quella sull’Ordinamento penitenziario. So bene che intorno al tema del carcere muovono molti pregiudizi, ma credo che la conoscenza dei problemi del carcere e dei detenuti aiuterebbe anche la politica a superare i pregiudizi. Il sistema italiano è carcerocentrico, e ci sono troppi detenuti. Occorre riprendere al più presto gli esiti degli Stati generali e dare avvio alla riforma che vada nel segno di una umanizzazione delle condizioni dei detenuti, apra alle pene alternative e alla giustizia riparativa.
La prossima settimana Areadg organizzerà un convegno sulla giustizia tributaria. Può anticipare qualcosa?
Da tempo stiamo dedicando particolare attenzione al tema della giustizia tributaria, perché lo riteniamo un settore strategico per il Paese e ingiustamente trascurato. Qualche mese fa abbiamo organizzato un seminario in cui sono emersi due dati: il primo è che esiste una generale condivisione sulla necessità di una riforma della giustizia tributaria, il secondo è che non vi è una idea condivisa sul come la riforma debba essere fatta. Il rischio è che in un sistema come questo, non riformato da troppo tempo, nelle pieghe dei problemi si possano insinuare posizioni di potere, rendite, interessi partigiani che potrebbero rendere difficile il cammino verso una riforma capace di restituire efficienza e trasparenza. Punti cardini dovranno essere la professionalizzazione del giudice tributario, la formazione, la sua autonomia e indipendenza effettiva.
In Cassazione metà del contenzioso civile è presso la Sezione tributaria.
È uno dei nodi della crisi della giustizia tributaria, ma insieme è una delle chiavi di soluzione del problema. Nel tributario, specie in Cassazione, si affrontano questioni giuridiche tecnicamente complesse e occorre fare i conti con una normativa in rapido mutamento: quello della nomofilachia è un tema delicatissimo. I tempi “irragionevoli' del processo e un arretrato, oltre 52mila cause, ormai non più gestibile con le misure ordinarie, rendono il compito complicato da realizzare. Restituire efficienza alla giustizia tributaria specie in Cassazione è un obiettivo ineludibile per i contribuenti che attendo risposte, ma anche per l’intera organizzazione della Corte, penalizzata da questo esorbitante arretrato. Affronteremo il tema dell’abbattimento dell’arretrato nel convegno della prossima settimana in cui abbiamo chiesto agli attori ed esperti del processo tributario di confrontarsi su quali misure mettere in campo con i fondi europei per incidere su quel grave carico giudiziario. La riforma del processo tributario sarà oggetto, invece, di un prossimo convegno.
Si sente di dire qualcosa sulla vicenda “Palamara”?
Dopo i fatti dell’hotel Champagne e le chat di Palamara, la magistratura appare divisa al suo interno e fatica a superare il momento di crisi. È così. La crisi ha attinto tutti e ha creato un senso di sfiducia soprattutto in chi, e sono la stragrande maggioranza dei magistrati, a quella caduta etica era ed è estraneo. Il rischio è che la reazione sia un ripiegamento in un’autoreferenzialità corporativa, che porterebbe la magistratura ancora più lontana dai cittadini. La magistratura deve invece saper riformare se stessa per difendere i valori dell’autonomia e dell’indipendenza quali precondizioni per assolvere all’alta funzione che la Costituzione le assegna.