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Sei giorni fa, al centro di permanenza e rimpatrio (Cpr) di Torino già noto per le cronache come il suicidio di Moussa Balde avvenuta a maggio del 2021, si sono verificate nuove proteste da parte di alcuni migranti che hanno dato alle fiamme i materassi. Fortunatamente la protesta è rientrata subito, ma rimane ancora il dramma di questi luoghi di contenimento dove i migranti trattenuti hanno meno diritti dei detenuti stessi. Il 19 dicembre scorso è morto un migrante nel Cpr di Restinco, a Brindisi.
Secondo quanto si è appreso, l’uomo è morto intossicato durante una protesta – sempre materassi bruciati - scoppiata all’interno del centro nel cuore della notte. Da febbraio 2020 questa è l’ottava morte di detenzione. I Cpr non trovano pace senza una riforma radicale del sistema di detenzione amministrativa. Otto morti in tre anni. Aymen Mekni, morto nel Cpr di Caltanissetta con il sospetto di cure non adeguate; Vakhtang Enukidze e Orgest Turia, morti nel Cpr di Gradisca d’Isonzo dopo episodi poco chiari il primo e a seguito di una overdose da farmaci il secondo; Wissem Ben Abdel Latif, morto in contenzione all’ospedale San Camillo di Roma, dove era stato portato dal Cpr di Ponte Galeria; Moussa Balde, come già detto morto suicida nel Cpr di Torino, dove era finito dopo essere stato vittima di un brutale pestaggio a Ventimiglia; Ezzedine Anani e Arshad Jahangir, suicidati sempre a Gradisca. Poche settimane fa si aggiunge la morte al Cpr di Brindisi.
Per quest’ultima morte due migranti sono stati arrestati (dal Cpr alla galera) e tre denunciate per aver provato a ribellarsi. Il sistema punitivo non manca, ma quello preventivo, ovvero il rispetto dei diritti, latita ancora.
Come già denunciato da varie associazioni come Antigone, Asgi e Unione delle camere penali italiane, i Cpr sono strutture in cui le persone trattenute vengono private della loro umanità, parcheggiate e abbandonate, in condizioni peggiori rispetto a quelle esistenti in carcere, proprio per la carenza di regole e di garanzie.
Tra le numerose violazioni rilevate, queste le più gravi: la verifica dell'idoneità sanitaria al trattenimento viene fatta da medici interni del Cpr, e non, come previsto dall'art. 3 del Regolamento Cie emanato dal ministero dell'Interno il 2.10.2014 prot. n. 12700, da medici esterni afferenti alla Asl o alle strutture ospedaliere, prima dell'ingresso. E – come il caso di Moussa Balde dimostra con brutale evidenza – nessuna verifica di compatibilità psichica viene effettuata; il sostegno psichiatrico non è stato garantito dal marzo 2020 al febbraio 2021 e rimane comunque insufficiente e discontinuo; vengono trattenute persone presunte minorenni, in aperto contrasto con la normativa vigente; sebbene la legge non consenta l’isolamento dei trattenuti, la misura viene abitualmente e arbitrariamente utilizzata, senza obbligo di motivazione né possibilità di impugnazione o riesame.
Non solo. Durante l’isolamento, i trattenuti vengono ristretti in celle pollaio che ricevono luce solare per poche ore al giorno solo nel cortile ( con visuale oltretutto limitata da una tettoia), senza diritto di uscire né di usare un telefono; vengono utilizzati luoghi di trattenimento non ufficiali (le celle di sicurezza nel seminterrato), nemmeno dichiarati al Garante nazionale e scoperti casualmente da quest’ultimo in occasione della visita del 2018; in spregio al diritto alla libertà di comunicazione con l'esterno sancita dall'art. 14, comma 2 del Testo Unico sull'Immigrazione e dall'art. 20, comma 3, del Regolamento di attuazione, i trattenuti vengono privati del telefono cellulare, così perdendo anche l'accesso ad internet, principale strumento di comunicazione e di informazione.
Le telefonate possono essere effettuate solo verso l'esterno, a pagamento e con linea fissa, con la conseguenza che, in considerazione dei costi, è estremamente difficile mantenere contatti con i parenti all'estero; i trattenuti non possono ricevere, privati del proprio apparecchio cellulare, chiamate dall'esterno, avendo sempre l'amministrazione rifiutato di fornire le utenze dei telefoni installati nel centro; i trattenuti vengono costretti in moduli abitativi sovraffollati, con servizi igienici non separati dai luoghi di pernottamento e privi di porte; non sono presenti mediatori culturali di lingue e Paesi rappresentati nel Cpr.
I Cpr sono luoghi di trattenimento del cittadino straniero in attesa di esecuzione di provvedimenti di espulsione. Quando non è possibile eseguire con immediatezza l'espulsione mediante accompagnamento alla frontiera o il respingimento, il questore dispone che il migrante sia trattenuto per il tempo strettamente necessario (massimo 90 giorni con una proroga di altri 30) presso il Cpr. In tali strutture il migrante deve essere trattenuto con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza ed il pieno rispetto della sua dignità. Ed è ciò che manca, con le conseguenze tragiche che riempiono le pagine di cronaca della stampa locale.