PHOTO
Cartabia
Una «rivoluzione culturale». O anche una «valanga», che travolga la narrazione sulla giustizia a cui la società è abituata, per arrivare ad una «giustizia giusta». È questo l’ambizioso obiettivo di presuntoinnocente.com, la piattaforma nata da un’idea di Enrico Costa (Azione), Guido Crosetto (Fratelli d’Italia), Roberto Giachetti (Italia Viva), Giusi Bartolozzi (Forza Italia), Gianni Pittella (Partito democratico) e Alessandro Barbano (giornalista) e presentata ieri alla Camera. Un progetto trasversale, privo di connotazione partitica, che si propone come piazza virtuale alla cui base ci siano i principi della Costituzione, primo fra tutti la presunzione di innocenza. «Vogliamo dare voce a coloro che hanno delle storie da raccontare in tema di giustizia - ha evidenziato Costa -. Il nostro sistema ha una caratteristica: quando ci entri da innocente non sai in quali tempi potrai uscirne e, soprattutto, quando ne esci dovresti essere la stessa persona che è entrata, ma non è così». Si tratta di un primo passo verso la costruzione di «un grande movimento che superi le logiche del partito» e, dunque, i vincoli determinati dalle casacche. Il che significa che è aperto anche a chi, come i 5 Stelle, ha una visione della giustizia profondamente diversa, ma in alcuni casi in via di mutamento, per Giachetti, secondo cui le scuse del ministro Luigi Di Maio all’ex sindaco di Lodi Simone Uggetti hanno dato il coraggio, a molti, di esporsi. Ieri dei grillini non c’era traccia. Ma la porta è sempre aperta, hanno confermato i presenti, convinti di poter superare, in un luogo “neutro”, senza ordini di scuderia, le divisioni interne al Parlamento, pur ricordando la priorità dello stesso in tema di riforme. Il sito si apre con una frase di Enzo Tortora, inviata dal giornalista vittima di malagiustizia al padre di Costa, all’epoca sottosegretario. «Oggi so cose che mai avrei sospettato. Ma ciò che più mi indigna, a parte la stregonesca, medievale iniquità del rito, è questa Giustizia “in ferie”, come una rivendita di gelati, e questa spazzatura umana (tale è la considerazione del cittadino per certi giudici) lasciata a fermentare, nei bidoni di ferro delle carceri: piene di disperati, di non interrogati, di sventurati, e di, come me, innocenti. Fate qualcosa, ve ne prego», scriveva Tortora. E l’obiettivo, ha evidenziato Costa, è proprio «fare qualcosa». Ad esempio contro la giustizia spettacolo, ha sottolineato Crosetto, quella delle retate che fanno clamore e che si traducono spesso in processi mediatici, che distruggono le persone prima di una sentenza. Una deriva agevolata anche da un Parlamento che non ha il coraggio «di intervenire in un tema che evidentemente spaventa molti». A dare il proprio supporto all’iniziativa anche l’Unione delle Camere penali, attraverso una lettera del presidente Gian Domenico Caiazza, secondo cui «stiamo faticosamente uscendo da decenni di giustizialismo che erodendo quotidianamente i principi della presunzione di innocenza, della libertà personale e del diritto di difesa ha infine espresso maggioranze parlamentari e governi esplicitamente ispirati nella negazione di quei valori fondanti del nostro patto sociale». Di rivoluzione ha parlato Giachetti, che ha invocato un ribaltamento culturale che ripristini i valori del garantismo contenuti nella Costituzione. Necessario, se si pensa che la ratifica della direttiva europea sulla presunzione di innocenza viene accolta come un trionfo, sebbene la stessa sia già prevista dalla Carta. «Il problema è che in questi ultimi 30 anni quello che si è andato stabilizzando è il concetto della presunzione di colpevolezza - ha evidenziato -. Cercheremo di mettere in campo iniziative pratiche, anche proposte di riforma che consentano di recuperare le radici della nostra Costituzione». Il momento è quello giusto per parlare di giustizia e oltre agli ambiti contenuti nella riforma Cartabia e ai temi referendari sono altri gli argomenti ancora sul piatto da affrontare: dalla obbligatorietà dell'azione penale, al tema delle intercettazioni, fino alla riservatezza del segreto istruttorio. E il tutto va fatto in maniera organica, ha aggiunto Giachetti. Il vicepresidente dei senatori dem Pittella ha invitato a cogliere l’occasione dei fondi europei per cambiare il volto della giustizia, con una riforma non contro i magistrati, «ma per i cittadini, nella consapevolezza che la funzione di magistrato è una funzione essenziale nel rispetto del loro ruolo di terzietà, che significa separazione delle carriere e non candidabilità nei territori ove questi magistrati hanno operato». Ma parlare di giustizia significa toccare anche il tema della carcerazione preventiva, che Bartolozzi, da magistrata oltre che da politica, ha definito «il paradosso più grottesco della nostra giustizia penale». Spesso, infatti, «la carcerazione preventiva viene applicata quasi come una parziale anticipazione della della pena - ha sottolineato -. E allora forse bisognerebbe avere il coraggio di ammettere che serve anche a placare l'allarme sociale, ad assecondare i sentimenti delle vittime e saziare una sete di giustizia, ma dovrebbe essere proprio tutt'altro». È necessario, dunque, ripensare gli assi portanti della giustizia, recuperando i principi costituzionali. Ma anche, come sottolineato da Barbano, ripensare il rapporto della giustizia con la società. «La giustizia oggi si presenta come la più potente macchina di dolore umano non giustificato e non giustificabile per le distorsioni che si sono venute accumulando», ha sottolineato. I problemi sono diversi, come quello del rapporto tra giustizia e media: «Il cittadino è andato convincendosi, per esempio, che conoscere il contenuto delle intercettazioni irrilevanti è utile perché illumina una parte oscura della politica - ha sottolineato -. Ma questa è la morte dello Stato di diritto, perché a quel punto la trasparenza assomiglia a una stanza degli orrori». L’impegno è, dunque, non solo a riformare le regole, ma anche a promuovere una cultura della giustizia. Ad esempio, come auspicato dal forzista Andrea Ruggeri, spingendo la politica a rinunciare «alla sua ormai sconfinata tendenza al panpenalismo».