PHOTO
«Meno male che quei tre non hanno votato la fiducia». Ai primi lanci d’agenzia che annunciano l’arresto del segretario regionale calabrese dell’Udc, Franco Talarico, e la perquisizione dell’abitazione romana di Lorenzo Cesa - indagati per associazione a delinquere con aggravante mafiosa - la prima reazione in casa 5 stelle è di sollievo. Essersi fermati a 156 voti di fiducia a Palazzo Madama, senza l’apporto dei corteggiatissimi senatori centristi, è stato un colpo di fortuna, col senno del poi. «Pensa cosa avrebbe detto oggi Renzi di noi se avessimo imbarcato quelli dell’Udc». Ma l’allegria per lo “scampato pericolo” lascia rapidamente il posto a una nuova angoscia: «E adesso come facciamo?», si chiedono preoccupati i grillini, consapevoli di dover ricominciare daccapo il conteggio dei “responsabili”. Sì, perché gli abboccamenti per fare entrare in maggioranza i colleghi dell’Udc non si erano mica interrotti col voto in Aula di martedì scorso, proseguivano indefessi, almeno fino a ieri mattina, con segnali incoraggianti. Anzi, l’arruolamento almeno di Paola Binetti veniva considerato praticamente «cosa fatta». Tutto da rifare. L’effetto Gratteri si abbatte sulle trattative in corso per salvare Giuseppe Conte. Il segretario nazionale dell’ Udc «è indagato per una frequentazione con l’imprenditore Antonio Gallo e con Tommaso e Saverio Brutto», tre degli indagati nell’inchiesta “Basso profilo” della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, spiega in conferenza stampa il procuratore del capoluogo calabrese. Gallo, spiega Nicola Gratteri,«è un imprenditore molto eclettico, che lavorava su più piani e riusciva a muoversi con grande disinvoltura quando aveva di fronte lo ’ndranghetista doc, o il politico o l’imprenditore». E per vincere gare d’appalto truccate per la fornitura di prodotti e servizi, Gallo aveva bisogno della politica. Ed è per questo che, tramite gli esponenti locali dell’Udc, l’imprenditore sarebbe entrato in contatto con Cesa, incontrato per un pranzo datato estate 2017. «Quel pranzo non potevamo documentarlo perché all'epoca Cesa era parlamentare. È grazie ad un'intercettazione ambientale che abbiamo capito che Gallo avrebbe dovuto pagare il 5 per cento di provvigione», spiega Gratteri. Toccherà a un tribunale accertare i fatti, ma intanto Cesa, a tre anni e mezzo dai fatti, si è dimesso da segretario del partito e rischia di pagare slatissimo il conto di quel pasto estivo.E a “pagare”, anche se di riflesso, potrebbe essere anche la maggioranza di governo, fino a 24 ore fa fiduciosa di convincere l’Udc a entrare in squadra. Nessuno, nei prossimi giorni, oserà più avvicinarsi a un decmocratico centrista, nel frattempo diventato “appestato”, per non dare nell’occhio. Alessandro Di Battista ha subito chiarito i patti con i suoi: «Con chi è sotto indagine per associazione a delinquere nell’ambito di un’inchiesta di ’ndrangheta non si parla. Punto», dice il leader ortodosso del Movimento. «Tutti sono innocenti fino a sentenza definitiva ma non tutti possono essere interlocutori in questa fase. Si cerchino legittimamente i numeri in Parlamento tra chi non ha gravi indagini o condanne sulle spalle», aggiunge Dibba. Seguendo alla lettera il ragionamento dell’ex deputato non ci sarebbero in realtà problemi a parlare con Binetti e colleghi, visto che non sono coinvolti neanche lontanamente in quest vicenda. Ma è molto probabile che il purismo movimentista estenda le indagini di Cesa a tutto il partito. Così, i numeri vanno cercati altrove, è il mantra che per tutto il giorno si ripete tra i grillini. Certo, ma dove? Già prima dell’esclusione dei centristi dalla lista dei papabili nuovi compagni di strada l’obiettivo sembrava tutt’altro che semplice, adesso somiglia a un’impresa impossibile. Soprattutto se lo scopo reale dell’operazione responsabili fosse quello di arrivare a quota 170 al Senato, come indicato da Dario Franceschini, per non tirare a campare. Con l’uscita di scena dei centristi Conte diventa più debole mentre aumenta il potere contrattuale di forzisti indecisi e renziani, pronti a rientrare in gioco se a Palazzo Chigi sedesse un altro premier. Ma i grillini, almeno pubblicamente, non si muovono di un passo: «In queste ore siamo al lavoro per un consolidamento della maggioranza, un processo complicato e ambizioso allo stesso tempo, perché il Paese ha bisogno di ricominciare a correre: le imprese devono lavorare, le famiglie hanno il diritto di poter pianificare il loro futuro», scrive su Facebook il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. Che aggiunge: «Con la stessa forza con cui abbiamo preso decisioni forti in passato, ora mi sento di dire che mai il M5S potrà aprire un dialogo con soggetti condannati o indagati per mafia o reati gravi». Qualcuno prova a rifare i conti: «Forse arriviamo a dodici. Dovrebbero passare con noi cinque di Italia viva, cinque di Forza Italia e due del Misto. Magari ce la facciamo». Sempre che una nuova inchiesta non rimandi in tilt il pallottoliere.