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Venerdì 19 giugno la Camera Penale di Livorno e il Centro studi giuridici e sociali "A. Marongiu" organizza un webinar dal titolo "Il segno del processo: dalla remotizzazione del linguaggio, del corpo e di altri vulnera costituzionali" (iscrizioni entro giovedì 18 giugno tramite e-mail a f.agostinelli@agbs.it). Tra i relatori Stefano Bartezzaghi, i professori Oliviero Mazza e Carlo Bona, e l'avvocato Iacopo Benevieri, Presidente della Commissione sulla linguistica giudiziaria della Camera Penale di Roma, sentito del Dubbio. Avvocato da cosa nasce l'esigenza di questa commissione? La comunità dei linguisti e quella degli avvocati, nonostante la tela sulla quale operino sia la stessa, cioè la parola, si sono incontrate raramente. La Commissione prova a colmare questa distanza. Storicamente il processo penale nasce nel momento in cui la società abbandona la vendetta privata per sostituirla con un rito nel quale, attraverso le parole, si accerta un fatto. Il processo penale si fonda su quella che è stata definita la "Civiltà di parole". Ecco perché lo studio della linguaggio non può essere estraneo alla nostra formazione di giuristi e di avvocati. D’altronde l’aula di udienza, come ha notato la linguista Patrizia Bellucci, è il luogo nel quale entrano ogni giorno tutte le varietà di italiano: la lingua degli specialisti, quella burocratica, quella dialettale e di borgata. Numerosi studiosi si sono occupati delle parole nel processo penale e delle variegate forme che esse assumono: le parole delle intercettazioni e delle trascrizioni, quelle dei verbali, del dibattimento, quelle scritte negli atti. Nel processo la parola viene continuamente processata, secondo regole, abitudini e talvolta abusi che dobbiamo saper riconoscere. Quali sono le criticità maggiori riguardo le intercettazioni e le trascrizioni? Oggi se ne discute molto riguardo il caso Palamara. L'intercettazione telefonica e ambientale acquisisce un flusso comunicativo tra alcuni interlocutori. Spesso notiamo che nelle trascrizioni operate nel corso delle indagini preliminari alcune parti non risultano trascritte, in quanto ritenute non rilevanti, con conseguente amputazione dell'interazione. Sotto un profilo linguistico tale pratica non è priva di conseguenze. L'azione comunicativa di uno dei partecipanti condiziona l'azione successiva del suo interlocutore. Quando parlo non solo comunico un concetto, ma creo delle aspettative nell'interlocutore il quale cercherà di prevedere come proseguirò e probabilmente mi interromperà per completare la frase nella direzione ritenuta probabile. Quindi proprio perché la comunicazione è fatta di ordini sequenziali, in cui ciascun elemento proietta una luce su quello successivo, la eliminazione "perchè ritenuto irrilevante" di porzioni di questa catena comporta una frattura della integrità della comunicazione, la quale apparirà anomala e criptica. Altri problemi, sotto un profilo linguistico, sono emersi a seguito di una non perfetta conoscenza da parte del trascrittore di termini dialettali, oppure a seguito dell'omessa trascrizione delle frasi d'apertura (i saluti iniziali), rilevanti per comprendere la tipologia dei rapporti tra gli interlocutori. Lei scrive che 'sul tema del linguaggio nel processo penale il diritto deve dialogare con la semiologia, le scienze cognitive, la linguistica forense'. Con il processo da remoto forse ci siamo resi conto di cosa stavamo perdendo. Il codice di procedura penale regola un rito, cioè un linguaggio in uno spazio. Con il processo da remoto stavamo recidendo il legame tra linguaggio e spazio, aprendo le porte a un meccanismo che altera la comunicazione tra gli interlocutori d'aula, incidendo così sulla conoscenza del fatto e sulla decisione. Ci può fare un esempio pratico? Penso ad esempio al contro esame di un testimone Pensiamo a tutti gli aspetti non verbali della comunicazione. Gli studi di linguistica hanno evidenziato che il parlato è caratterizzato da una serie di informazioni ulteriori rispetto al messaggio verbale, così da cooperare nella produzione del significato: gli accenti, il ritmo, il tono, l'intonazione costituiscono elementi della modulazione della voce e incidono sulla comunicazione. E' la prosodia, la quale necessita però di uno spazio fisico, di un volume tridimensionale attraverso il quale raggiungere l'ascoltatore. È soprattutto lo spazio fisico che consente all'ascoltatore di rilevare l'ampiezza dell'onda sonora e quindi l'intensità della voce che arriva, con la ricchezza di informazioni connesse. Un tono di voce insicuro, esitante, perplesso viene veicolato da questi elementi e viene percepito grazie al volume spaziale nel quale le onde sonore della voce si diffondono. Ecco, tali fatti comunicativi risulterebbero dunque fortemente compromessi dalla loro trasmissione attraverso un microfono, vale a dire un dispositivo che trasforma onde sonore in segnali elettrici. Un ritmo rallentato nella elocuzione, una pausa, una incertezza nel pronunciare una parola potrebbero addirittura essere interpretati come una scarsa efficienza del dispositivo informatico. Anche i movimenti del corpo, come quelli di busto e gambe, di mani e braccia, della testa sono rilevanti nel veicolare un messaggio. Mi vengono in mente i cd. gesti illustratori, quei movimenti delle braccia che servono a illustrare l'informazione fornita verbalmente, oppure i gesti adattatori, di adeguamento del corpo alla richiesta di soddisfazione di bisogni psichici o emotivi, permettendo di scaricare o di controllare l'emotività, l'ansia (mordersi le labbra, stringere le gambe, strofinarsi le mani, muovere in continuazione la penna). E' evidente come nel processo da remoto verrebbe di fatto impedita la possibilità di rilevare questi aspetti. Avrei difficoltà a percepire se un testimone si sta tormentando le mani sotto la scrivania, oppure si è seduto nella parte estrema del sedile di una sedia, significativamente definita punto di fuga perchè indica una malcelata volontà di alzarsi e andarsene. Come può la conoscenza dell'etimologia delle parole aiutare il dialogo sulla giustizia dentro e fuori l'aula? Anche se credo che l’etimologia non sia l’unica via di accesso al significato, trovo che essa riveli l'invisibile della parola, la sua antica ombra. Penso al termine "oralità", che richiama la "bocca" latina (ōs, oris) ma indica anche la voce e, per metonimia, le sembianze fisiche di una persona. Dunque l'oralità non può prescindere dalla presenza, dallo spazio comune. Il processo da remoto ci voleva consegnare l'assioma opposto. Ecco, credo che talvolta curiosare nei percorsi etimologici delle parole ci consenta di non dare per scontato quali siano le garanzie di quelle parole. Qual è il dibattito a livello internazionale? Oltreoceano la consapevolezza linguistica è penetrata più a fondo rispetto a quanto accade nel nostro Paese. Nelle sentenze delle Corti americane non è raro trovare concetti propri di questa disciplina. Ad esempio? Per esempio si pone molta attenzione alla necessità che la persona (imputato o testimone) sia fisicamente presente davanti al Giudice, affinché possano essere rilevati tutti quegli aspetti non verbali della dichiarazione che viene resa in aula. Troviamo anche molte sentenze nelle quali l'analisi degli elementi linguistici suggestivi nelle domande viene condotta con estrema attenzione, giungendo addirittura a tipizzare le formule interrogative maggiormente condizionanti (come quelle che esigono solo una risposta affermativa o negativa).Al contrario, se cerchiamo la parola "linguistica" nel motore di ricerca sul sito della Corte di Cassazione, troviamo sentenze nelle quali ci si occupa unicamente del diritto alla traduzione degli atti per gli imputati alloglotti. La questione di quali siano i criteri linguistici da seguire nella trascrizione di una intercettazione, oppure quali siano gli elementi indicativi della suggestività di una domanda, per citare alcune tematiche, sembra non interessare. Che suggerimenti avrebbe Lei? Non ho suggerimenti, non né ho titolo né capacità. Credo soltanto che dovremmo prendere consapevolezza del fatto che la dimensione linguistica è sempre stata elemento rivelatore del modo di amministrare la giustizia. L'analisi di un sistema giudiziario non può prescindere dalla centralità concessa o negata alla parola, al linguaggio, alla comunicazione e a come essi si manifestano nel processo. Dobbiamo fare in modo che nella cultura diffusa di avvocati e magistrati rientri anche un'ampia consapevolezza linguistica, la quale non può essere solo l'espressione di personali capacità, spesso improvvisate. Penso che sarebbe un bel passo in avanti verso una condivisa partecipazione all'amministrazione della giustizia con maggiore capacità professionale e maggiore consapevolezza.