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«Problema gravissimo di cui si deve fare carico il legislatore, normativa illogica, burocrazia irragionevole»: così l’avvocato napoletano Paolo Cerruti descrive al Dubbio la situazione in cui è coinvolto un suo cliente. La storia inizia nel 2018 quando Nunzio (useremo un nome di fantasia) all’età di 23 anni viene arrestato a Ercolano per rapina insieme con un suo amico: lui guidava l’auto mentre l’altro scippava la borsetta a due badanti. Il ragazzo, al tempo studente incensurato che lavorava anche per sostenere la famiglia, fu identificato e arrestato a nove mesi dai fatti. «In quel periodo - ci dice l’avvocato - la sua condotta è stata impeccabile. Inoltre il pm e il gip concordarono nel dare al ragazzo la misura degli arresti domiciliari perché capirono che Nunzio non era un delinquente abituale e si era subito ravveduto per l’errore». Inizia poi il processo, che il giovane vive mentre si trova appunto ai domiciliari: «Faccio in modo che il danno venga subito risarcito alle donne da parte del mio cliente», prosegue l’avvocato. Il tempo passa e Nunzio trascorre 2 anni e 8 mesi in espiazione domiciliare, con l’autorizzazione a potersi recare ogni giorno al lavoro. Il 30 settembre scorso arriva la condanna definitiva per rapina e anche per simulazione di reato, perché aveva falsamente denunciato il furto della propria vettura, usata nell’occasione, per sviare le indagini: 4 anni. Incredibilmente, quando mancano in teoria solo 8 mesi per il termine di espiazione della pena, Nunzio viene portato al carcere di Poggioreale: «Durante il tempo trascorso ai domiciliari Nunzio non ha violato alcuna prescrizione e per ogni anno di detenzione gli sarebbero dovuti essere sottratti, come prevede la legge, 3 mesi per la liberazione anticipata. Se così fosse stato gli sarebbero rimasti da scontare solo 7 mesi e 15 giorni. Purtroppo però l’ottusità della norma non ha consentito ancora alla polizia giudiziaria di inviare gli atti sulla buona condotta del mio cliente al giudice di sorveglianza e quindi non gli sono stati riconosciuti quei mesi di benefici. Trovo assurdo che da un mese si trovi in carcere, in cella con 6 persone e col pericolo della diffusione del covid in un istituto difficile e fatiscente come quello di Poggioreale. Tengo a dire che non c’è alcuna colpa dei magistrati, i quali stanno solo rispettando la legge, ma della burocrazia, che sta impedendo a Nunzio di poter tornare a casa. La norma va cambiata».Il riferimento è alla previsione per cui prima della notifica dell’ordine di esecuzione non si può chiedere la liberazione anticipata al magistrato di sorveglianza, poiché ancora non è effettivamente iniziata la fase dell’esecuzione penale. Ora l’avvocato Cerruti ha presentato immediatamente istanza al giudice di sorveglianza per chiedere l’affidamento in prova per due motivi, sostanzialmente, come leggiamo nella richiesta: “Evitare che l’intelligente scelta di politica criminale adottata dal Pmtitolare delle indagini e dal Gip che emise la misura, finalizzata a impedire la criminalizzazione di un giovanissimo e incensurato lavoratore, venga vanificata con una ingiusta e lunga detenzione inframuraria, sia pure solo per il tempo strettamente necessario a ottenere i benefici penitenziari”, e perché “un illogico protrarsi della detenzione inframuraria costituirebbe un grave pregiudizio per la sua attività lavorativa e per la vita familiare non potendo crescere suo figlio”. Il problema ora è la lungaggine burocratica, ci dice allarmato Cerruti: «Il covid ha rallentato una situazione già complicata per i Palazzi di giustizia a Napoli. Proprio due giorni fa una circolare del presidente del Tribunale di Sorveglianza Adriana Pangia ha prolungato fino al 31 gennaio ’21 le misure per scaglionare accessi negli uffici e udienze. Io non riesco a ricevere le risposte dagli uffici né telefonando né inviando mail. È assurdo. Si parla tanto di rieducazione, di incentivare le misure alternative e poi accadono queste cose».