La
Guardia di Finanza ha intercettato le conversazioni di
Luca Palamara e Cosimo Ferri mentre quest’ultimo utilizzava «un’utenza di pertinenza della Camera dei Deputati». A spiegarlo è lo stesso deputato di
Italia Viva, nella memoria difensiva depositata da Ferri alla giunta per le autorizzazioni della Camera, alla quale la sezione disciplinare del
Csm si è rivolta per chiedere di poter usare le conversazioni tra Ferri e Palamara captate dal trojan inoculato nel telefono dell’ex presidente dell’Anm.
Per procura e Csm l'intercettazione fu captata su casuale
La conversazione risale al 13 maggio 2019, ovvero quattro giorni dopo la cena all’Hotel Champagne, quando Palamara e altri cinque membri del Csm, assieme a Ferri al deputato
Luca Lotti, hanno discusso della nomina del successore di
Giuseppe Pignatone alla procura di Roma. Secondo la procura e
Palazzo dei Marescialli, quelle conversazioni sarebbero state captate in maniera casuale, senza violare, cioè, l’articolo 68 della Costituzione, che vieta l’intercettazione di un parlamentare senza la preventiva autorizzazione della Camera di appartenenza. Ma tra i tanti elementi evidenziati da Ferri vi è anche quello dell’utenza intestata alla Camera, «circostanza che per tutto quanto rappresentato, certamente non può definirsi casuale». Ed è anche per questo motivo, tra tanti altri, che secondo Ferri «in modo inequivocabile», nel perimetro dell’attività di indagine della procura di
Perugia «vi era pacificamente anche il sottoscritto parlamentare».
Palamara potrebbe chiedere la revisione della sentenza
Come già evidenziato
nell’edizione di venerdì, l’idea di Cosimo Ferri è dunque che tra i bersagli della procura, oltre a Palamara, vi fosse proprio lui. Che, pur non essendo indagato, rappresentava una linea investigativa da «approfondire», proprio per i rapporti «opachi» con Palamara. Da qui l’ipotesi che di casuale, in quelle intercettazioni, non vi fosse nulla. Anche perché la sua identificazione da parte della Finanza avvenne a marzo 2019, due mesi prima della cena all’Hotel Champagne, e, sicuramente,
le Fiamme gialle sapevano con chi parlasse Palamara nelle cinque telefonate preparatorie a quella cena. La Finanza, dunque, avrebbe dovuto spegnere il trojan o, nella peggiore delle ipotesi, distruggere quelle intercettazioni, considerate dal deputato illegali. E se tali venissero riconosciute, secondo quanto affermato dalla sentenza di
Cassazione che ha confermato la radiazione di Palamara dall’ordine giudiziario, lo stesso ex presidente dell’Anm potrebbe chiedere una revisione della sentenza. Insomma, il caso Ferri potrebbe determinare anche le sorti future di Palamara, che alla toga ha deciso apertamente di non rinunciare.
L'orientamento della giunta per le autorizzazioni
La giunta per le autorizzazioni, stando a quanto dichiarato dal relatore della pratica,
Pietro Pittalis (Forza Italia), è propensa a negare l’utilizzo di quelle captazioni. La decisione arriverà giovedì, ma in attesa della decisione la memoria di Cosimo Ferri continua a far discutere. Secondo il Csm, il deputato avrebbe contribuito ad «influenzare, in maniera occulta, la generale attività funzionale della V Commissione», fornendo «un contributo consultivo, organizzativo e decisorio sulle future nomine di direttivi di vari uffici giudiziari». E insieme a Palamara e Luca Lotti, il primo interessato al posto di aggiunto a Roma e il secondo indagato da quella stessa procura, avrebbe precostituito e concordato, fin nei dettagli, «la strategia da seguire ai fini di pervenire dapprima alla proposta di nomina e, quindi, alla successiva nomina di uno dei concorrenti per la funzione di Procuratore della Repubblica di Roma. E ciò indipendentemente dagli eventuali meriti dei candidati e benché tale nomina fosse di immediato, diretto, interesse personale» di Palamara e Lotti.
Le contestazioni di Cosimo Ferri
Nella sua memoria difensiva, lunga circa 90 pagine,
Cosimo Ferri evidenzia come il suo nome, nelle richieste di proroga delle intercettazioni, compare più volte di quello dello stessa Palamara. Ma il deputato va oltre, contestando l’utilizzo di quelle intercettazioni senza che la Camera si sia ancora pronunciata sul caso. L’ordinanza del Csm sostiene infatti che «il contenuto delle conversazioni effettuate nel corso della riunione del 9 maggio 2019 presso l'Hotel Champagne porta ad escludere la riconducibilità delle stesse ad opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni parlamentari». In tal modo, secondo Ferri, la sezione disciplinare confermerebbe «espressamente come il “contenuto” delle captazioni di cui si chiede alla Camera di autorizzare l’utilizzo sia in realtà già stato ampiamente utilizzato nei confronti del sottoscritto senza alcuna autorizzazione della Camera, prima dal procuratore generale, per le determinazioni inerenti l’esercizio dell’azione disciplinare e nell’atto di incolpazione; poi dalla stessa sezione disciplinare, per rigettare l’eccezione di difetto di giurisdizione formulata dalla difesa del sottoscritto».
Trojan presente sul cellulare di Palamara
Ma non solo:
l’Hotel Champagne è la dimora romana di Ferri, sicché «l’intercettazione ambientale a mezzo del trojan è stata pertanto una intercettazione ambientale diretta, perché effettuata in luogo nella disponibilità del Parlamentare e anzi nell’albergo dove normalmente dimora». E secondo la Corte costituzionale, la captazione «ove eseguita nei luoghi rientranti in quelli nella disponibilità del parlamentare, va sempre definita diretta» e pertanto va distrutta. Le stranezze, secondo Ferri, sono anche altre. Partendo dalla circostanza che il trojan fosse presente solo sul telefono di Palamara, «il presunto “corrotto”», la circostanza anomala è che nulla fosse stato inoculato nel «telefono dei presunti “corruttori”
Amara, Calafiore e Longo», né vi fu uno studio di fattibilità per intercettare le conversazioni di
Centofanti. «Il trattamento particolare riservato al dottor Palamara rispetto ai presunti “corruttori” - conclude dunque la difesa di Ferri - può essere spiegabile solo con l’interesse degli inquirenti ad ascoltare le conversazioni di Palamara relative alle nomine dei magistrati. Palamara, in quel periodo, conversava infatti non già della ipotetica corruzione del 2016 (per la quale non è mai stata esercitata l’azione penale),
ma delle nomine dei procuratori di Roma e della stessa Perugia».