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La relazione del Consiglio Direttivo della Camera Penale di Cosenza è devastante. L’ispezione del 14 agosto scorso dei penalisti cosentini ha messo in luce le gravissime criticità di carattere sanitario all’interno della casa circondariale “Sergio Cosmai” di via Popilia, intitolata all’ex direttore del carcere cosentino ucciso negli anni novanta dalla ‘ ndrangheta locale. La visita, chiesta ottenuta dalla Camera Penale di Cosenza e autorizzata dall’autorità penitenziaria, ha visto la partecipazione del presidente e dei consiglieri, della referente regionale dell’Osservatorio “Carcere” dell’Unione delle Camere penali italiane, della delegata dell’Osservatorio “Carcere” territoriale, del Garante comunale dei detenuti della città di Cosenza e del Garante della regione Calabria.
I penalisti cosentini hanno preso atto preliminarmente che i detenuti reclusi al “Cosmai” ad oggi sono 282 nonostante la capienza regolamentare sia stata fissata dal ministro della Giustizia in 218 posti. Un sovraffollamento evidente a cui si aggiunge un altro dato su cui riflettere. Il personale di polizia penitenziaria indicato nella pianta organica ministeriale è di 169 unità, ma in realtà gli operatori in servizio sono 139. Ma la cosa più grave, che è tema d’attualità dopo i suicidi di Torino, è che per l’intera popolazione carceraria sono previsti un solo psichiatra e una psicologa, «che è assente da diversi mesi, mai sostituita, con la concreta impossibilità di procedere sia con la visita psicologica prevista, in ingresso, dal “servizio nuovi giunti”, sia conseguentemente alle prescrizioni di visita specialistica da parte del medico di base carcerario, circostanza di certa gravità in considerazione del fatto che nella struttura di Cosenza sono conclamati ( nonostante l’assenza di accertamenti su base psicologica), almeno 30 casi di detenuti con disturbi comportamentali» scrivono i penalisti cosentini nella relazione.
Inoltre, le cartelle cliniche dei detenuti, dagli stessi richieste per la tutela dei propri diritti, «sono rilasciate dall’Area sanitaria in tempi non ragionevoli», mentre «i 52 detenuti stranieri sono privati, ancora oggi, della figura del “mediatore culturale”, circostanza che impedisce loro ogni effettiva comunicazione con il personale intramurario, soprattutto con quello sanitario».
Gli avvocati iscritti alla Camera Penale di Cosenza hanno evidenziato anche un’altra criticità, ovvero che «il diritto, da parte dei genitori detenuti, al riconoscimento dei propri figli è, di fatto, precluso poiché la Magistratura di sorveglianza, per i detenuti definitivi, non ne autorizza la presenza/ traduzione presso i competenti Uffici, né l’Amministrazione comunale di Cosenza acconsente alla dislocazione degli adempimenti burocratici nella Struttura carceraria».
Altro problema rilevato dai penalisti cosentini riguarda le sezioni di “media sicurezza e “alta sicurezza”, dove è stata constatata «la materiale occlusione delle finestre delle celle mediante l’installazione di pannelli opachi di plexiglass, veri e propri muri che - costituendo un “carcere nel carcere”- impediscono anche il minimo sguardo verso il mondo esterno e non consentono l’adeguato ricambio d’aria, con logiche ricadute in termini di igiene e salubrità degli stessi locali, in cui sono ubicati angolo cottura e bagno».
La visita, tuttavia, oltre ad avere uno scopo ispettivo ha permesso ai legali che ogni giorno lottano per difendere i diritti dei detenuti, la sofferenza di chi è recluso dietro le sbarre. E nel documento approvato dal Consiglio Direttivo della Camera Penale di Cosenza si evince anche la sofferenza di chi vive in carcere. «Qui manca l’aria, stiamo male fisicamente e mentalmente, è uno stato di malessere inspiegabile, nonostante gli sforzi della penitenziaria, è come vedere tutto il giorno appannato, chiudete gli occhi e provate a immaginare come abbiamo vissuto nei giorni scorsi, con il grande caldo, senza aria, pensavamo soltanto a sopravvivere giorno dopo giorno, alcuni di noi sono andati in infermeria perché si sono sentiti male, questi pannelli» riferendosi a quelli di plexiglass «sono un inferno che toglie fuori la parte peggiore di noi». I penalisti cosentini dunque chiedono al Garante comunale e a quello regionale «l’esercizio delle proprie prerogative istituzionali al fine di far ripristinare nella Casa circondariale di Cosenza i più elementari diritti costituzionali» .