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«È un processo unico in Italia per la sua gravità», secondo la requisitoria del pm Alessandro Milita. Potrebbe esserlo in due modi completamente diversi. L'accusa ritiene Nicola Cosentino colpevole di concorso esterno in associazione mafiosa, in particolare per aver scambiato favori ai Casalesi con il loro appoggio elettorale: da questo punto di vista, il processo sarebbe dunque la madre di tutte le nefandezze attribuite all'ex sottosegretario. Se però il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere stabilisse che il concorso esterno non c'è stato, come sostiene la difesa, lo scarto tra enormità dell'impianto accusatorio e nullità dell'esito processuale giustificherebbe notevoli dubbi sulla logica probatoria seguita dalla Dda di Napoli.Si tratta di attendere pochi giorni. Conclusa giovedì scorso l'arringa in due parti dei difensori Stefano Montone e Agostino De Caro, il collegio presieduto da Gianpaolo Guglielmo si riunirà in camera di consiglio giovedì prossimo, il 17 novembre. È chiaro però il quadro delle argomentazioni messe in campo. Secondo la direzione distrettuale antimafia di Napoli, le dichiarazioni dei pentiti e l'interessamento di Cosentino per la concessionaria della raccolta rifiuti Eco 4 dimostrano il patto tra l'allora deputato di Forza Italia e i clan di Casal di Principe. Secondo gli avvocati De Caro e Montone non c'è «alcuna prova» di comportamenti dell'ex parlamentare orientati a favorire i criminali del Casertano. E non solo, perché il sostegno elettorale che questi ultimi gli avrebbero assicurato pare intanto privo di "corrispettivi politici" e anzi frutto semplicemente dell'immaginazione dei camorristi-testimoni.Su questo si sono imperniate sia la memoria difensiva che l'arringa, pronunciata dalla difesa in due tempi. I legali hanno ricostruito la cronologia elettorale dell'ex coordinatore campano di FI: emerge ad esempio come nella sua terza elezione al Consiglio provinciale di Caserta, nel 1990, Cosentino avesse preso gli stessi voti, circa 3000, di un candidato ritenuto vicino ai clan da alcuni pentiti. L'amministrazione di Terra di Lavoro, travolta dai ricorsi, è costretta a nuove elezioni l'anno dopo: Cosentino si ripresenta e, nonostante l'altro aspirante consigliere non sia in corsa, raccoglie nello stesso territorio sempre gli stessi voti. Casertani alle urne anche nel '92, stavolta per le Politiche. È l'ultima tornata col proporzionale, secondo uno dei pentiti ascoltati nel processo, Domenico Frascogna, «in quella occasione il clan dei casalesi sostenne Cosentino». Che non era neppure candidato.Si può andare avanti così, fino alle Politiche dell'era berlusconiana, in cui il forzista compariva alla Camera anche nel listino proporzionale e, sia nel '96 che nel 2001, sarebbe stato eletto anche se avesse perso nel proprio collegio. Nel 2006 arriva il porcellum e il deputato è in pole position nel listone bloccato: non ha senso parlare di appoggio dei Casalesi. In mezzo ci sono le Provinciali del 2005, in cui Cosentino è sconfitto, e un pentito ritenuto molto attendibile, Giuliano Pirozzi, ricorda che i boss diedero ordine di votare per l'avversario, De Franciscis.«Il fatto non sussiste», secondo gli avvocati. E in effetti la ricostruzione storica non riesce a mostrarlo. L'altro "segmento processuale" riguarda il disegno con cui Cosentino avrebbe cercato di dirottare la gestione dei rifiuti dalla concessionaria regionale, la Fibe-Fisia, alla Impregeco, in modo da favorire sempre le famiglie camorriste di Casal di Principe. Ma il passaggio era amministrativamente impossibile e infatti mai si realizzò. Resta l'interessamento per far ottenere il certificato antimafia alla società titolare della raccolta rifiuti in provincia di Caserta, la Eco4: è provata una telefonata di Cosentino con un funzionario della prefettura, non il fatto che l'allora deputato conoscesse i legami criminali del dirigente della utility Michele Orsi, poi ucciso dal boss Setola. L'imprenditore peraltro frequentava anche magistrati e vicequestori.Cosentino amico dei boss è sicuramente un dogma. Che questo corrisponda a fatti materialmente avvenuti, è affermazione non giustificata dal lungo processo.