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L’ex impiegata del Csm Marcella Contrafatto, indagata per calunnia dai pm capitolini nell’ambito dell’inchiesta sulla diffusione di verbali secretati degli interrogatori resi da Piero Amara ai magistrati milanesi, aveva a casa «ben sei verbali di interrogatorio di Amara privi di sottoscrizioni». È quanto riportato nelle motivazioni del Tribunale del Riesame di Roma che a maggio ha respinto il ricorso presentato dal suo difensore, Alessia Angelini, sul materiale sequestrato nel corso delle perquisizioni disposte dai pm della Procura capitolina. Nel procedimento nei confronti della donna, che ha lavorato nella segreteria di Piercamillo Davigo, figura come parte offesa il procuratore capo di Milano Francesco Greco. In particolare si tratta di verbali «del 6 e 14 dicembre 2019, due verbali delle ore 12 e 14.15, rispettivamente di 3 e di 10 fogli dattiloscritti solo fronte, uno dei quali evidentemente è quello inviato a Di Matteo» verbali del «15 e 16 dicembre e dell’11 gennaio 2020, materiale da lei spontaneamente esibito e consegnato a seguito della notifica del decreto di perquisizione e sequestro, unitamente a tre trascrizioni di intercettazioni ambientali e di un notebook», si legge nel provvedimento. Nel corso della perquisizione sono state trovate, come riporta il Tribunale del Riesame nel provvedimento, «rassegne stampa a cura del Csm con chiave di ricerca “Palamara”, estratto del libro “Il Sistema”, fascicoli di due procedimenti disciplinari e la stampa della posizione disciplinare di Palamara, un avviso di conclusioni indagini di un procedimento romano con annesse notizie stampa, oltre a vari appunti, una rubrica, due pen drive e due memory card». Nell’ufficio al Csm «si sequestrava un appunto mentre per il pc e lo smartphone si effettuava copia forense». I giudici scrivono inoltre «che in sede di interrogatorio dinanzi al pm (nel quale si è avvalsa della facoltà di non rispondere)» non ha fornito nessuna giustificazione. «Il tenore complessivo della missiva di accompagnamento del verbale inviato a Di Matteo in atti - si legge nelle motivazioni - con uso in parte del maiuscolo, sottolineatura del procuratore di Milano, annotazione a penna, fa ritenere condivisibile la contestazione del delitto ipotizzato». Per i giudici dunque «palesi sono le esigenze probatorie che giustificano il sequestro al fine di una compiuta ricostruzione della vicenda in indagine».