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Rende non è una città come le altre, in Calabria. Vanta un reddito pro capite inusuale, al limite dell'irrealistico: 19.500 euro, superiore seppur di poco alla media nazionale e decisamente stellare rispetto a quella della Regione, tra le più povere d'italia. Qui Beniamino Andreatta e Paolo Sylos Labini sognarono prima e fecero realizzare poi l'Unical, campus progettato da Vittorio Gregotti, visionario architetto allievo di Ernesto Nathan Rogers. L'Università della Calabria è uno dei pochissimi poli del Sud che ogni anno riescano a entrare nelle classifiche dei migliori atenei al mondo. Un'oasi, insomma, anche grazie alle politiche modernizzatrici di due sindaci, Checchino e Sandro Principe, padre e figlio. Una storia dinastica di amministrazione illuminata. Unica nel suo genere. Che però le inchieste, l'ultima del marzo scorso, sembravano aver irrimediabilmente deturpato con l'accusa di concorso esterno in capo a Principe junior. Salvo la clamorosa riabilitazione che ora una sentenza della Suprema corte potrebbe imporre.RENDE, SVIZZERAChecchino fa approvare negli anni Sessanta un piano regolatore che trasforma il piccolo borgo di allora in una cittadina dall'aria centroeuropea. Sandro, classe '49, eredita la carica di capo dell'amministrazione dal genitore per la prima volta nel 1980, si rivolge a studi di urbanisti come Malara e Larini, tra i migliori d'Italia, impone l'obbligo che per ogni nuova costruzione sorga un'area verde. L'utopia della Svizzera ai piedi della Sila. Sandro ha una carriera politica folgorante e anche in questo ricorda il padre: eletto per la prima volta a Montecitorio nell'87, sempre sotto le insegne del Garofano, incarichi da sottosegretario nei governi Amato e Ciampi, di assessore e consigliere regionale. Ma proprio nel pieno dell'ascesa piombano come una dannazione le accuse di aderenze con la 'ndrangheta. Il primo calvario è innescato dalle inchieste della Procura di Palmi e di Nicola Gratteri, all'epoca giovane pm di Locri: finisce nel '95 con una richiesta di archiviazione. La vicenda segna Sandro Principe. Lo farà anche un colpo di pistola esplosogli al volto mentre, da sindaco di Rende, inaugura una chiesa.Il doppio trauma non appanna l'immagine di politico illuminato. Sandro, come il padre, resta un'inspiegabile eccezione tra gli amministratori calabresi. Fino al marzo scorso, quando lo travolge una nuova indagine, stavolta della Procura di Catanzaro: nominato nel frattempo capogruppo pd in Regione, Principe junior è raggiunto da una misura cautelare ai domiciliari. L'accusa è firmata di nuovo da Gratteri: corruzione elettorale aggravata e concorso esterno alla cosca dei Lanzino. Sembra il colpo del del knock out. E invece una sentenza della Cassazione, di cui l'altro ieri sono state rese note le motivazioni, può ribaltare tutto: respinte le richieste dei pm relative a una misura cautelare per un presunto affiliato alla stessa 'ndrina, Adolfo D'Ambrosio. Fatta a pezzi una sentenza del Riesame, in cui tra l'altro si riaccoglieva la tesi degli scambi elettorali tra il presunto boss e Sandro Principe. Secondo la decisione della sesta sezione penale presieduta da Domenico Carcano, nelle dichiarazioni rese dai pentiti sulla «campagna elettorale a favore di Principe» non si parla «di alcun accordo specifico». Ci si limita a fare affermazioni del tipo che il presunto boss intendeva tenersi amico l'ex sindaco di Rende «in quanto utile per chiedere eventuali favori». Sulla base di simili genericità, i pm di Catanzaro avevano inflitto il secondo colpo fatale all'ex socialista illuminato. Si tratta di procedimento diverso da quello per il quale l'ex sottosegretario è agli arresti, ma le ripercussioni sulla sua detenzione ai domiciliari saranno inevitabili. Si tratterebbe della seconda riabilitazione in poco più di vent'anni per un sindaco che aveva scritto una pagina di storia diversa per la Calabria. E che forse per questo, anche alla magistratura, dev'essere parso troppo capace per essere vero.Ha collaborato Antonio Alizzi