Quante lezioni sullo stato della giustizia impartisce la decisione, assunta ieri dal Tribunale del Riesame di Roma, di annullare la misura cautelare nei confronti di Alfredo Romeo? Moltissime. Prima di tutto perché l’ordinanza restituisce la libertà all’imprenditore ritenuto figura chiave del caso Consip dopo la bellezza di cinque mesi e mezzo ( l’arresto risale al 1° marzo). Un tempo enorme in cui evidentemente non c’era motivo di tenere Romeo in cella e, nell’ultimo mese e mezzo, ai domiciliari. Poi perché il commento diffuso subito dopo dai difensori Alfredo Sorge e Francesco Carotenuto è una specie di manuale sull’uso della custodia cautelare in Italia: la liberazione, dicono gli avvocati, «riporta finalmente il quadro giudiziario in equilibrio in vista del processo in cui questa difesa dimostrerà l’assoluta inconsistenza dell’accusa mossa al proprio assistito». Come spesso avviene, la custodia in carcere o ai domiciliari è la forzatura che garantisce all’accusa un punto di vantaggio – non motivato da esigenze reali – consistente nell’alterazione della verginità cognitiva del giudice. E ancora, l’ordinanza rende giustizia e inquieta nello stesso tempo perché conferma tutti i rischi che possono venire dagli eccessi compiuti da Procure e gip nella fase preliminare: costruzioni accusatorie dettagliatamente enfatizzate dai media che restano sulle spalle dell’indagato per sempre, nonostante eventuali assoluzioni nel processo. Sono sempre gli avvocati Sorge e Carotenuto a evocare implicitamente altre, pregresse vicende giudiziarie riguardanti Romeo e poi finite nel nulla, quando dichiarano: «In questi mesi l’avvocato Romeo, la sua famiglia e le sue aziende sono stati sottoposti ad un fuoco di fila di notizie infondate, false e diffamatorie che hanno rappresentato la triste immagine riprodotta dalla Procura di Napoli dell’imprenditore del Sud che, se vincente, non può essere anche ‘ pulito’, che se porta al successo le sue aziende non è perché attorniato da una squadra vincente ma per non precisati e precisabili motivi illeciti».

Abuso della custodia cautelare. Trasformazione di quest’ultima in arma processuale impropria dell’accusa. Effetto micidiale, e differito, della cosiddetta gogna mediatica su chi fino a prova contraria è innocente. Tre paradigmi richiamati dal caso processuale dell’anno, Consip. Una vicenda a cui, con l’ordi- nanza emessa ieri dal Tribunale della Libertà, viene impressa una svolta, e un ridimensionamento, forse definitivi. Svolta che d’altronde è conseguenza, come ricorda la difesa di Romeo, soprattutto della sentenza del 13 giugno scorso, quando la Cassazione aveva annullato, con rinvio allo stesso Riesame, la misura cautelare per l’imprenditore e aveva mosso diversi rilievi al gip di Roma, Gaspare Sturzo.

A sostenere l’accusa, per il filone che vede imputato lo stresso imprenditore partenopeo, è la Procura di Roma. Ma non è un caso che nell’esprimere «grande soddisfazione», la difesa di Romeo chiami in causa un altro ufficio inquirente, quello di Napoli, in quanto artefice di un «teorema privo di qualunque fondamento». Non è un caso neppure che gli avvocati facciano riferimento alla «inosservanza della legge in molti passaggi di un’indagine che, lo si ricorda, oggi vede indagati gli stessi autori di quel piano investigativo per gravi reati di falso». Ad essere chiamato in causa è il capitano del Noe Giampaolo Scafarto. A ipotizzare a suo carico «gravi reati di falso» è la stessa Procura che, nel processo fissato dal 19 ottobre, sosterrà l’accusa di corruzione contro Romeo, e che proprio per quest’ultima circostanza rischia di trovarsi un un’oggettiva condizione di debolezza.