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riforma cartabia ministro Nordio
Il punto è uno solo: conosce i magistrati. Perché è uno di loro. È stato, uno di loro. Nordio ha questa forza. Insuperabile. E ha la determinazione del liberale puro. Mettete insieme il vantaggio dell’insider e la cultura del diritto penale più nobile e antica che viene da Beccaria: ecco, avete Carlo Nordio. Una figura della quale a volte si possono non gradire le mediazioni suadenti, ma dotata di una straordinaria competenza e, al momento necessario, del coraggio della verità.
Ieri in Senato il guardasigilli più imprevedibile e scomodo che l’Anm potesse trovarsi davanti ha sciorinato un fiorilegio di riforme doverose e di affermazioni tanto vere quanto sgradevoli che nessuno, davvero nessuno, avrebbe immaginato, fino a poco tempo fa, di poter ascoltare da un ministro della Giustizia. Certo, il responsabile del dicastero che fu di Palmiro Togliatti e Giuliano Vassalli ha giocato da fuoriclasse in una sede e in un contesto in cui era impensabile ingabbiarlo. Ma non si tratta di una giornata irripetibile: quel coraggio e quella verità sono un elemento di forza anche rispetto alla maggioranza che ha voluto Nordio guardasigilli.
E il dato di realtà parla chiaro: la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, la stessa che aveva sollevato un alert sul “rischio scarcerazioni” legato alla riforma Cartabia, la leader del partito non esclude un restyling sulle pene extracarcerarie di Cartabia, ha detto chiaro e tondo che «il governo condivide l’approccio disegnato da Nordio». Quando hai il coraggio, come l’ha avuto ieri il guardasigilli nella più istituzionale delle sedi, di dire in faccia ai tuoi ex colleghi pubblici ministeri che «la diffusione delle intercettazioni, talvolta selezionata e pilotata, costituisce uno strumento micidiale di delegittimazione personale e spesso politica», sei dotato di una forza contrattuale così grande che anche una leader non tradizionalmente impegnata sul fronte della giustizia come Meloni deve riconoscerti un ruolo di guida nel tuo specifico ambito.
Ed ecco il punto: ieri abbiamo capito che, pur fra mille difficoltà, pur con la necessità di mediare con i timori di una parte se non dell’intera maggioranza rispetto alle pulsioni dell’elettorato più securitario, nonostante tutto questo, Carlo Nordio avrà la forza di mettere sul tavolo le proprie idee in campo penale. Lo farà, e saprà farsi ascoltare, perché è credibile, perché è spietato nel riconoscere i vizi della magistratura a cui è appartenuto, così come è pronto e competente nel cogliere i disagi di cui gli stessi magistrati soffrono, innanzitutto in termini di organico e disponibilità del personale amministrativo.
Poi si potrebbe dire che forse non è la legislatura ideale perché si arrivi a grandi riforme della giustizia. Stretti come siamo fra guerra ed emergenza energetica, fra tensioni internazionali e spettro della recessione, vedremo se davvero si potranno separare le carriere di giudici e pm, e introdurre un’Alta Corte per sottrarre i processi disciplinari dei magistrati alla spirale corporativa. Ma una cosa è certa: nessuno più di Nordio avrebbe avuto la competenza, e la cultura, per riuscire, in un modo o nell’altro, a perseguire quegli obiettivi.