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La giustizia riparativa, fino ad oggi una nicchia nascosta del nostro sistema di giustizia penale, si tratta di una “mediazione” di tutti gli interessi in gioco: responsabile del reato, persona offesa e collettività con evidenti benefici. Viene contemplata per la prima volta il 25 ottobre 2012 dalla direttiva del Parlamento europeo, la quale definisce espressamente la “giustizia riparativa” come «qualsiasi procedimento che permette alla vittima e all’autore del reato di partecipare attivamente, se vi acconsentono liberamente, alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l’aiuto di un terzo imparziale».
In sostanza, viene per la prima volta delineato il principale modus operandi delle prassi di giustizia riparativa: vale a dire, di quell’insieme di proposte avanzate a partire da diverse prospettive teoriche che, pur avendo una specifica ed autonoma sensibilità ( abolizionista, vittimologica, comunitaria o anche semplicemente deflativa ), convergono tutte nel ritenere necessaria una giustizia meno burocratica e formalizzata, più snella, più vicina all’ascolto e al soddisfacimento delle aspettative e dei reali interessi delle parti in conflitto: la vittima, l’autore di reato, la comunità.
Molti paesi europei contemplano ormai esplicitamente forme di giustizia riparativa nell’ordinamento, disciplinandone i potenziali effetti e gli strumenti tecnici. Il nostro ordinamento, invece, non ha ancora deciso lo spazio da attribuirgli. La legge delega, in via di approvazione, della riforma della ministra della giustizia Cartabia, come sappiamo, introduce e norma questa realtà.
In Italia esiste, invece, una sperimentazione ventennale di mediazione penale nel rito minorile fondata su piedistalli normativi instabili, e cioè su un’interpretazione fortemente estensiva di alcune norme che consentono di legittimare il rinvio del caso all’ufficio di mediazione, e di attribuirgli un valore traducibile in termini penalistici come l’estinzione del reato per buon esito della messa alla prova, perdono giudiziale, irrilevanza del fatto. Nel caso di reati commessi da soggetti adulti, è praticamente inesistente l’applicazione della mediazione penale presso il tribunale ordinario.
Il carattere fortemente innovativo – dal punto di vista teorico, e più ancora sotto il profilo dei processi concreti coinvolti – della giustizia riparativa, rispetto ai tradizionali paradigmi del diritto penale, impone la mobilitazione di una molteplicità di approcci diversi e complementari. Innanzitutto rimette al centro la vittima. Non è un caso che per la prima volta, grazie alla riforma Cartabia, nel codice verrà inserita la definizione di “vittima”. Non esiste. Viene denominata “persona offesa”, con un ruolo da non protagonista nel nostro sistema sanzionatorio.
Così come, non è un caso che la giustizia riparativa nasce in un contesto di crisi diffusa del sistema penale derivante da almeno tre diversi macro- fattori: l’insoddisfazione per gli esiti della pena detentiva, legata alla scarsa effettività di quest’ultima nella riduzione della recidiva; la perdita di legittimazione delle sanzioni carcerarie soprattutto quando determinano frizioni con il sistema dei diritti umani cristallizzato nella giurisprudenza della Corte Europea di Strasburgo e, appunto, lo scarso riconoscimento, da parte del sistema penale, della vittima e dei suoi diritti di accesso alla giustizia.