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Bonafede resta dirigente nazionale M5S anche da ex parlamentare
La sospensione della pena viene subordinata al pagamento di una somma equivalente non solo all’ammontare di quanto indebitamente percepito, ma anche quando non vi sia stata un’effettiva percezione indebita: basta la promessa. Quando il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, tempo fa, scrisse su Facebook che il cosiddetto decreto “spazzacorrotti” avrebbe reso difficile l’applicazione della pena sospesa, non si era sbagliato.
La pena sospesa è un istituto giuridico di grande importanza, soprattutto nei confronti di coloro che per la prima volta affrontano in qualità di imputati le aule di Giustizia per reati non eccessivamente gravi, e rappresenta una grande opportunità per la limitazione degli effetti negativi del processo penale. Questa possibilità è lasciata allo stesso imputato che, in un certo senso, è messo alla prova dal giudice per un preciso lasso di tempo a seguito del quale, se la “prova” è superata, il reato è estinto. In realtà la sospensione condizionale della pena pre- vede che la pena rimanga sospesa per cinque anni per i reati o tre anni per le contravvenzioni, a condizione che il reo non commetta un altro reato. Se egli si macchia di un altro reato, a determinate condizioni, sconterà sia la vecchia pena sospesa sia quella inflitta per il secondo fatto illecito. Ricordiamo che la pena sospesa si può concedere quando la condanna inflitta non è superiore a due anni di reclusione.
Il precedente governo, attraverso la “Legge Grasso” del 2015, aveva già modificato tale istituto per quanto riguarda i reati di corruzione attraverso la subordinazione alla restituzione del denaro percepito indebitamente, ma esclusivamente per i funzionari pubblici. Viene pensare che se un soggetto, il quale riveste una posizione apicale nella pubblica amministrazione, avendo sicuramente disponibilità economica, ha la possibilità di accedere alla sospensione della pena ( essendo in questo caso una condanna entro i due anni, la cifra da restituire è irrisoria per chi ha il denaro) mentre il piccolo dipendente pubblico con uno stipendio medio, difficilmente avrà la possibilità di restituire la somma percepita indebitamente. La pena sospesa, quindi, se la potranno permettere coloro che possono pagare. Una evidente disparità di trattamento.
Lo “spazzacorrotti” prevede un ulteriore allargamento dell’obbligo del pagamento della somma a titolo di riparazione pecuniaria: si aggiunge la corruzione attiva ( art. 321 c. p.), cioè la corruzione da parte del privato. Ma non finisce qui la modifica della sospensione della pena per quanto riguarda i reati di corruzione. Come sappiamo, lo “spazzacorrotti” prevede una specie di Daspo dai pubblici uffici per chi ha commesso il reato. Si tratta dell’inasprimento delle pene accessorie. Per una serie di reati ( dal peculato, concussione a istigazione alla corruzione), la legge stabilisce una durata tra 5 e 7 anni dell’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione, per condanne fino a 2 anni di reclusione e il divieto in perpetuo di contrattare con la pubblica amministrazione - salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio - per condanne superiori a due anni di reclusione. Sempre nell’ottica di ampliamento e inasprimento delle sanzioni accessorie per reati contro la pubblica amministrazione, anche in questo caso la legge introduce modifiche in materia di sospensione condizionale della pena. “Il giudice – si legge nel dossier del Parlamento - può disporre che la sospensione non estenda i suoi effetti alle pene accessorie dell’interdizione dai pubblici uffici e dell’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione”. Quindi la pena sospesa, in questo caso, può anche non sospendere l’interdizione ai pubblici uffici. Oltre a restituire i soldi ( compreso quelli promessi), quindi, c’è il rischio di rimanere senza lavoro. È costituzionale?