PHOTO
Con il loro comportamento, i cinque ex togati del Csm sospesi dalla funzione per aver partecipato alla famosa cena all’Hotel Champagne avrebbero non solo trasgredito le regole, ma anche «prodotto una grave lesione dell’affidamento che l’ordinamento e la collettività necessariamente devono riporre in coloro che sono chiamati a svolgere quella funzione costituzionalmente prevista, al fine di preservare al meglio la funzione giurisdizionale cui è preposto l’ordine giudiziario». A dirlo è la sezione disciplinare del Csm, che lunedì scorso ha depositato le motivazioni della decisione con la quale lo scorso 14 settembre ha disposto la sospensione di un anno e mezzo per Antonio Lepre, Gianluigi Morlini e Luigi Spina e di nove mesi per Corrado Cartoni e Paolo Criscuoli.
Leggi anche: Palamara, ecco la lista testi: «Ora via il velo d’ipocrisia»
Una decisione arrivata dopo la conferma della radiazione dall’ordine giudiziario inflitta a colui che per tutti è il grande manovratore, quel Luca Palamara che per la Corte di Cassazione avrebbe agito da solo e per vendetta. La decisione del Csm, però, si muoverebbe in senso opposto: un sistema esiste, se è vero com'è vero che per i sei giudici della sezione disciplinare tutti avrebbero agito nella piena consapevolezza del disegno che vedeva come principale manovratore Palamara, con l'intenzione di «interferire in segreto sulla libera formazione del convincimento dei componenti del Consiglio superiore della magistratura rimasti estranei alla discussione, come pure dei candidati al posto di procuratore della Repubblica di Roma, in riferimento a loro eventuali revoche delle domande presentate».
Insomma: avrebbero arrecato «un sicuro pregiudizio alle funzioni proprie dell’organo di rilevanza costituzionale che (...) in prima persona, avevano essi stessi innanzitutto l’obbligo giuridico di preservare». Secondo l’accusa, Palamara pianificò attività per condizionare la nomina dei capi delle Procure. L’evento clou della vicenda è, appunto, la cena del 9 maggio 2019, alla presenza dell’ex ministro dello Sport Luca Lotti, all’epoca già imputato a Roma nell’ambito dell’indagine Consip, e il parlamentare Cosimo Ferri. Quella sera si parlò del successore di Giuseppe Pignatone alla procura di Roma, indicando il pg di Firenze Marcello Viola come il favorito.
Il collegio disciplinare pone in evidenza proprio la presenza di Lotti: le conversazioni intercettate dal trojan inoculato sul telefono di Palamara dimostrerebbero, infatti, come «il parlamentare partecipasse alla riunione non in veste istituzionale - si legge - ma allo scopo di influenzare, o almeno mostrarsi capace di influenzare i lavori del Consiglio mediante un utilizzo strumentale della propria carica e delle proprie conoscenze». Un’intenzione che emergerebbe con chiarezza dalle conversazioni e che «non poteva non risultare parimenti cristallina agli occhi degli interlocutori, ed anche di coloro che assumono aver avuto una conoscenza solo superficiale dell’onorevole Lotti».
I consiglieri presenti, dunque, «non solo mostrano di ricevere tranquillamente i suggerimenti e le offerte di intervento del parlamentare - senza manifestare in alcun momento, né la volontà di dissociarsene, né di respingere l’ingerenza nel funzionamento della vita consiliare da parte di un soggetto esterno, ma neppure meravigliandosene -, ma addirittura manifestano ringraziamento ed incitazione». Comportamenti che avrebbero effetti di «estrema gravità» anche «sulla stima del singolo magistrato e sulla fiducia nel suo operato di appartenente all’ordine giudiziario». Per la sezione disciplinare, i cinque consiglieri avevano un «notevole livello di consapevolezza (...) in ordine alla riprovevolezza che siffatti comportamenti potevano avere, trattandosi proprio di magistrati prescelti elettivamente nella loro funzione per attuare l’ordinamento giudiziario».
Sarebbe stato Spina il consigliere ad avere «maggiore intensità di rapporti con il dottor Palamara, con il quale manifesta una piena e consapevole comunione di intenti e del quale, nella vicenda, si pone come una sorta di longa manus ». Nessun dubbio, da parte del Csm, sulla sua «piena responsabilità», essendo del tutto evidente «una partecipazione consapevole e diretta alla perpetrazione di una illecita strategia che si andava delineando e che mirava deliberatamente ad incidere sulla libera formazione della volontà» del Csm, con lo scopo di «assecondare disegni estranei alle responsabilità consiliari, per di più anche evidentemente asserviti alle intenzioni di chi aveva un concreto interesse nella scelta dell’organo requirente presso il quale era stato indagato e imputato». Anche Morlini, secondo la sezione disciplinare, «condivideva pienamente l’occulto obiettivo strategico dei partecipanti alla riunione: quello di far nominare procuratore di Roma il dottor Viola». Così il suo sostegno a Giuseppe Creazzo sarebbe stato solo di facciata e destinato «a venir meno subito dopo il voto in Commissione, anche sulla base del lavoro di diplomazia di una parte della corrente di riferimento, che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto adoperarsi per indurre il dottor Creazzo a revocare la domanda». Da parte sua, dunque, ci sarebbe stata «piena partecipazione ed effettiva e consapevole adesione agli illeciti propositi».
E pienamente partecipe sarebbe stato anche Lepre, «essendo anche in questo caso evidente non solo la consapevolezza e volontà di adottare un comportamento connotato da un notevole grado di scorrettezza, ma anche di agire, peraltro in violazione dell’obbligo di segreto e del dovere di riserbo, turbando deliberatamente la trasparente e libera formazione della volontà dell’organo al quale apparteneva». Partecipe silente sarebbe stato, nell’ottica della difesa, Criscuoli, ma tale circostanza, per la sezione disciplinare, non certificherebbe la sua estraneità alle manovre relative alla nomina del procuratore di Roma: «Posto che, quando gli altri procedono alla conta dei voti a favore del dottor Viola, quello del dottor Criscuoli viene sempre annoverato senza che quest’ultimo abbia qualcosa da ridire a riguardo, deve escludersi che sia rimasto silente per tutto il corso della riunione», dando per scontato che l’unica voce non identificata non potesse che essere la sua. Infine, per quanto riguarda Cartoni, «l’elevato livello di confidenzialità» con Lotti «emerge da una serie di scambi, da cui si desume che l’incolpato forniva al primo informazioni di vita consiliare, anche relative alla Sezione disciplinare, affinché il parlamentare le utilizzasse al fine di assoggettare il vicepresidente Ermini alla loro sfera di influenza (benché quest’ultimo non vi si prestasse). Si tratta dunque, anche in questo caso, di una consapevole partecipazione a quell’evento».