PHOTO
La seconda ragione che rende impropria l’espressione “processo” riguarda direttamente Colangelo: è vero che nel pieno della tempesta Consip il timone della Procura partenopea era nelle sue mani, ma è vero anche che oggi Colangelo è in pensione, lo è dal febbraio scorso, e non può essere oggetto di particolari contestazioni. Eppure è a lui che i 6 componenti della commissione di Palazzo dei Marescialli chiedono la soluzione di un enigma: se in una riunione con due importanti aggiunti del suo ufficio, Alfonso D’Avino e Filippo Beatrice, lui stesso, Colangelo, concordò nel gennaio del 2016 di dirottare il fascicolo Consip dalla Dda alla sezione reati contro la Pa, quindi da Woocock ai sostituti coordinati da D’Avino, com’è che l’inchiesta restò invece nelle mani del pm dal cognome inglese? E com’è possibile che sei mesi dopo, anziché trasferire l’indagine, viene trasferita una pm, Celeste Carrano, che dal-l’anticorru-zione passa ad affiancare Woodcock?
Colangelo restituisce, in tre ore, un quadro interessante degli equilibri interni all’ufficio da lui guidato fino a otto mesi fa. Conferma gli elementi acquisiti dalle audizioni di tre ex suoi aggiunti: D’Avino, l’altro coordinatore dell’Antimafia Giuseppe Borrelli e il terzo, Nunzio Fragliasso, che sarebbe subentrato a Colangelo come capo facente funzioni. E alle domande della commissione presieduta dal laico Beppe Fanfani, il procuratore ha ribadito alcuni concetti già espressi in passato a proposito di Woodcock. Ovvero che si tratta di un magistrato brillante, di notevoli capacità, e che quando dopo l’estate dell’anno scorso D’Avino gli invia una seconda, pesantissima nota sulle modalità di lavoro del collega anglo– napoletano, l’indagine Consip era ormai in uno stato avanzato, saldamente nelle mani di Woodcock, aveva una notevole complessità, che sarebbe stato disfunzionale sottrarre un fascicolo simile a chi lo aveva curato per un anno e mezzo e dirottarlo verso la sezione reati contro la Pa.
È per questo che l’ 8 novembre dell’anno scorso, quando gli arriva la richiesta di intercettare Tiziano Renzi non come indagato ma come “terzo”, lui, Colangelo, si consulta con l’altro aggiunto che coordina Woodcock, Beatrice, e conclude di dare via libera a condizione che l’inizio effettivo degli “ascolti” sia postdatato.
Che inizi cioè dal 5 dicembre, dopo il referendum costituzionale che vede Matteo Renzi impegnato in una delicatissima sfida politica. Basta? Non proprio. Da Palazzo dei Marescialli si apprende che Colangelo ha riferito sia su Consip che sulla “inchiesta madre” della pratica, la Cpl Concordia, e che «la commissione valuterà quali ulteriori adempimenti istruttori svolgere». Ma uno dei componenti, il laico Antonio Leone, diffonde un proprio comunicato in cui è più netto nel dire che «restano zone d’ombra, circostanze da verificare e chiarire ulteriormente, anche alla luce dell’audizione di Colangelo: chiederò di metterne altre in calendario».
E quali sarebbero le zone d’ombra? Se Colangelo ha scelto di lasciare Consip nelle mani di Woodcock, tanto da dare il via libera affinché il pm intercettasse Tiziano Renzi, è evidente che viene meno una delle ipotesi per le quali si sarebbe potuta adombrare l’incompatibilità del sostituto partenopeo con l’ufficio in cui lavora. Ovvero, un’indisciplinata ostinazione nel trattenere un fascicolo che l’aggiunto D’Avino reclamava. Non era lui a custodirlo gelosamente ma il capo a lasciarglielo tenere, nonostante le furibonde ( e messe per iscritto) rimostranze di D’Avino. Un’anomalia? La legge sull’ordinamento giudiziario autorizza i procuratori a gestire l’ufficio anche così. Adesso il nuovo procuratore, Giovanni Melillo, riorganizza la Dda e destina Woodcock, che ne fa parte, a occuparsi dei clan camorristici della provincia, i più temibili. Sarà forse difficile che il pm torni a perseguire presunti corrotti. Ma queste sono cose che decidono i capi, appunto.