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«Non si può tacere che di fronte al carattere del tutto inedito ed emergenziale di questa situazione siano mancati riferimenti e pratiche condivise, utili a salvaguardare i livelli di garanzia dei diritti, in particolare per le situazioni più fragili ed esposte al rischio». Giuseppe Spadaro, presidente del Tribunale dei minori di Bologna, lo dice chiaro e tondo: alla giustizia minorile, in questa fase di caos, si è pensato troppo poco. Ed è mancata un’analisi su uno degli aspetti fondamentali del processo, l’ascolto dei minori, che da remoto rischia anche di essere dannoso. «Nonostante sia previsto per legge - spiega al Dubbio - le modalità con cui deve avvenire non sono ancora disciplinate». E questa è, dunque, la prima sfida per il futuro. Presidente, come ha funzionato la giustizia familiare in questo periodo di crisi? Un certo interesse è stato rivolto in molti casi ai Tribunali ordinari per i casi di emergenze legate a crisi familiari in presenza di genitori separati, considerato che la pandemia non muta le regole fondamentali che governano la gestione dei figli. In questi casi, sebbene i provvedimenti adottati abbiano sospeso anche tutte le udienze di separazione, di divorzio e quelle per le coppie di fatto, già fissate nel mese di marzo, è stata prevista la possibilità per l’avvocato che “ravvisi un pregiudizio” di depositare telematicamente una richiesta di urgenza che sarà valutata dai giudici. Che tipo di procedimenti sono stati celebrati durante questo periodo di emergenza? Nonostante difficoltà oggettive, strumentali e soprattutto di orientamento adeguati, nei tribunali per i minorenni abbiamo continuato a celebrare i procedimenti per le situazioni di adottabilità, quelli relativi ai minori stranieri non accompagnati, ai minori allontanati dalla famiglia ed alle situazioni di grave pregiudizio come le violenze domestiche e gli abusi familiari, così come sono andate avanti le cause relative ai procedimenti urgenti aventi ad oggetto la tutela dei minori. A fronte di queste situazioni, come in molti ambiti, ci siamo trovati anche noi a gestire ed a confrontarci con un percorso di alfabetizzazione digitale rapido e non sempre funzionale. Le tecnologie sono adeguate a garantire l’ascolto dei minori? delle persone di minore età in sede giurisdizionale non è un diritto qualsiasi, ma è sancito dalla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989, oltre che essere previsto da diverse fonti interne, perché a ciascuno sia riconosciuto concretamente il suo superiore interesse. L’ascolto del minorenne in sede giurisdizionale è previsto per legge, ma purtroppo a tutt’oggi la legge non ne disciplina le modalità. Come saranno adeguati, allora, i protocolli esistenti e le numerose buone pratiche sull’ascolto diffuse in tutte le sedi giudiziarie minorili del Paese in tempo di Covid? L’ascolto per il minore costituisce un fattore di protezione, capace di aumentarne l’autostima e la percezione di sé come soggetto capace di incidere sulla propria vita. Ascoltare significa dare attenzione alla comunicazione verbale ma anche e soprattutto a quella non verbale. Ciò che il minore non dice a parole, ma con il linguaggio del corpo, è fondamentale per la valutazione e l’orientamento del giudice. Un ascolto inadeguato rischia di essere superfluo, se non addirittura dannoso. Le misure per gestire la pandemia sono state all’altezza delle esigenze dei minori? Il Covid 19 ha evidenziato una crisi sistemica che, nonostante i molti richiami, continua a manifestarsi, nella scarsa considerazione con la quale si è tenuto conto dei diritti dei minori nelle misure finalizzate alla tutela della salute pubblica e nelle conseguenti, quanto necessarie, limitazioni imposte dall’emergenza sanitaria. Dal mio osservatorio la preoccupazione più grande è rivolta ai minori che vivono, nell’attuale situazione, una condizione di deprivazione, associata, spesso, ad un’accresciuta vulnerabilità, se non un vero e proprio trauma, come quelli in famiglie con genitori violenti o maltrattanti ed esposti al rischio di violenza diretta o assistita. Così come per quelli che, invece, sono temporaneamente collocati in comunità o accolti da famiglie affidatarie nell’ambito di provvedimenti civili e, non ultimi, i minori inseriti nel circuito penale che, nella situazione emergenziale, hanno dovuto sospendere percorsi di istruzione e formazione, interrompendo importanti rapporti educativi con il mondo esterno. Come si è comportato il distretto di Bologna? Molti servizi e comunità si sono organizzate per consentire ai minori collocati fuori famiglia di avere contatti più frequenti con i genitori o altri familiari mediante collegamenti da remoto, cercando di mantenere la continuità dei colloqui psicologici e di diverse attività educative. Ciò attivando, dove ciò sia possibile, forme di contatto regolare telefonico o telematico, come le videochiamate, offrendo la possibilità ai genitori di tenersi in contatto e di ricevere messaggi, con l’obiettivo di non interrompere le relazioni in corso tra bambini e famiglie esposte a condizioni di particolare vulnerabilità. Questa emergenza può insegnarci qualcosa per migliorare il sistema di tutela dei minori? Il nostro sistema, già attraversato da gravi circostanze che ne hanno messo in luce limiti e disfunzioni, deve affrontare con lucidità e determinazione alcuni nodi strutturali, come il rinnovato sostegno alle famiglie per prevenire la necessità di ricorrere agli allontanamenti, una riforma delle relative norme esistenti, compresa la disciplina dei procedimenti giudiziari in materia di responsabilità genitoriale, assicurando agli uffici giudiziari minorili e ai servizi sociali le risorse necessarie.