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«Quando una persona viene arrestata pur sapendo di essere assolutamente innocente, sprofonda in una situazione paradossale in cui soltanto un’inamovibile fiducia nel sistema democratico – e quindi anche nella magistratura – può permettergli di far fronte alle inaccettabili condizioni di detenzione che sono offerte dall’odierna situazione carceraria». Le parole dell’ambasciatore Claudio Moreno scavano nella propria esperienza personale, incardinandosi al momento in cui un magistrato nel marzo del 1993 lo convocò in qualità di persona informata dei fatti – riguardo a programmi di cooperazione allo sviluppo di tredici anni prima – e, rientrato a Roma, senza neanche ricevere un avviso di garanzia, venne arrestato e tradotto a Regina Coeli. Furono necessari quattordici anni per ottenere l’assoluzione da ogni addebito per non aver commesso il fatto, un percorso di riabilitazione che culminò con la sua nomina a Presidente del Comitato per i Diritti Umani dal Maee a presidente del Main Committe nella Conferenza Onu contro razzismo, xenofobia e relative discriminazioni tenutasi a Durban nel 1999. La sua storia è ora raccontata nel libro Un ambasciatore a Regina Coeli ( Editori Riuniti).
Ambasciatore Moreno, ritiene che, rispetto al tempo della sua detenzione, talune problematiche carcerarie – sovraffollamento, precarie condizioni sanitarie, carenza dell’assistenza, ecc... – siano state superate o per lo meno vi siano stati miglioramenti sensibili?
Ripongo fiducia nelle testimonianze delle mie amiche Radicali Rita Bernardini ed Elisabetta Zamparutti, che hanno una profonda conoscenza dell’attuale condizione delle carceri e mi riferiscono che nulla è cambiato: i motivi della loro lotta risiedono nel fatto che non vi sono stati cambiamenti rilevanti da venticinque anni a questa parte. Dirò di più: l’immutabilità di queste inaccettabili condizioni detentive sono anche un riflesso della strumentalizzazione che viene spesso fatta dagli inquirenti per cercare di esercitare un sistema di pressione indebita. È chiaro che se il pubblico ministero possiede tutte le prove della colpevolezza dell’indagato non esiste alcun problema in merito mentre, al contrario, se queste prove non ci sono e sono assenti riscontri o alcun altro tipo di risultanza, il sistema adottato da qualunque casa circondariale acquista un valore sproporzionato rispetto alla possibilità che un indagato resista alle pressioni dell’inquirente. Credo che sia di enorme importanza risolvere il problema della custodia cautelare, che deve essere riservata solo ai casi di assoluta certezza del crimine, perché altrimenti, qualora dovesse venire adottata come metodo d’indagine, allora, come affermato da Rita Bernardini, rappresenterebbe un sistema di tortura e pressione indebita.
Cosa pensa della pratica dell’isolamento, cui ha dedicato particolare spazio all’interno del suo libro?
Parlare di isolamento è davvero paradossale, in quanto non c’è momento più affollato: ci si trova insieme a quella che viene chiamata ‘ la schiumatura della giornata’, ovvero tutti coloro i quali sono stati fermati nei giorni immediatamente precedenti, dal tossicodipendente allo spacciatore persino all’omicida. L’istituzione dell’isolamento è caratterizzata in modo particolare dalle condizioni inaccettabili cui si viene sottoposti: non c’è possibilità di fornitura esterna o adeguata alimentazione, non c’è la televisione, sono assenti i giornali e anche l’illuminazione lascia alquanto a desiderare. Dovrebbero definirla ‘ sala d’attesa dei detenuti’. È sicuramente uno dei momenti più duri della detenzione.
Ritiene vi sia una certa relazione tra giustizialismo e populismo?
Credo che non vi sia coincidenza perfetta tra populismo e giustizialismo. Il giustizialismo è un approccio dirigenziale di una classe – in particolare quella della magistratura – che interviene per sostituirsi al potere politico, mentre il populismo è un fenomeno di altro tipo.
Come giudica la condizione dei diritti civili in Italia?
In quanto Presidente del Comitato per i Diritti Umani, sono stato chiamato, tutti gli anni, a rilasciare una testimonianza giurata di fronte a tutte le relative Commissioni, le quali a loro volta operavano sulla base di denunce fatte da enti di volontariato o da parti politiche che presentavano una sorta di bilancio in riferimento ai vari settori. Ai nostri giorni, il problema del razzismo e la discriminazione nei confronti dei lavoratori stranieri ha assunto le dimensioni di fenomeno nazionale. Non si può dire che l’Italia sia più o meno responsabile di infrazioni dei diritti umani: lo è ciclicamente, così come lo sono molti altri Paesi, fra i quali i tanto decantati Paesi scandinavi che presentano problematiche di carattere analogo. Ho avuto il piacere e l’onore di essere stato Presidente del Main Committee – ovvero la principale Commissione della Conferenza delle Nazioni Unite contro il razzismo, la xenofobia e le relative discriminazioni a Durban, in Sudafrica –, dando il mio modesto contributo alla Carta infine approvata, mentre la Conferenza precedente e quella successiva fallirono per l’abbandono dei principali Paesi occidentali. Ho potuto quindi seguire le problematiche del razzismo e della discriminazione in momenti in cui esse non erano ancora contrassgnate da quel carattere epocale e continentale che stanno invece assumendo oggi in Europa. Pur senza arrivare alle aberrazioni dell’Ungheria e di altri Paesi balcanici, bisogna tenere presente che vi sono Paesi che semplicemente non accettano di condividere le decisioni comunitarie e la relativa suddivisione di quote di migranti, rifugiati riconosciuti come tali. Stiamo attraversando un momento di crisi di quello spirito solidaristico che ha sempre caratterizzato l’Europa, ma devo tuttavia rilevare come l’Italia – nonostante taluni episodi poco edificanti a livello locale e regionale – abbia dato prova di resipiscenza e accettazione del diverso più di tanti altri Paesi, a cominciare dai nostri vicini Austria, Svizzera e Francia.
Lei è sempre stato molto vicino alle posizioni del Partito Radicale. Cosa ha rappresentato per lei la figura di Marco Pannella?
Marco Pannella è stato innanzitutto un grande amico, mi sono sentito molto onorato di essere suo consigliere all’interno dell’amministrazione. Sono stato un ammirato realizzatore di alcune delle grandi idee di Pannella, prima fra tutte quella della lotta contro lo sterminio per fame, in qualità di Direttore Esecutivo del Fondo di 1900 miliardi stanziato proprio a tal fine che, pur non avendo mantenuto tutte le attese, ha rivestito un’importanza esemplare di aiuto non condizionato da precedenti di carattere colonialistico o legato a interessi geopolitici ed economici. In molti casi, la mia carriera si è intersecata con le meravigliose e generose battaglie del Partito Radicale.