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referendum
È importante l’appuntamento referendario del 12 giugno perché i problemi della giustizia vengono discussi e valutati dalla società civile nel suo complesso. Dopo oltre quarant’anni di nuovo l’elettore è chiamato a esprimersi su 5 domande e le risposte possono costituire una inversione di marcia, una discontinuità utile per correggere le deviazioni che la giustizia subisce da molti anni.
Quel referendum verteva sulla responsabilità civile del magistrato invocata dai radicali ma confermata dal responso elettorale che per il 70% si espresse favorevolmente. Il Parlamento subito dopo avrebbe dovuto interpretare correttamente il messaggio degli elettori, ma votò una legge che attribuiva al magistrato una responsabilità molto tenue, indiretta, perché responsabile resta lo Stato che può rivalersi sullo stesso magistrato.
Il cittadino chiedeva che il magistrato fosse indipendente ma al tempo stesso responsabile dei propri atti: la legge prevede una responsabilità indiretta del magistrato soltanto per colpe gravi e abbiamo constatato che in tutti questi anni non ha ricevuto sanzioni importanti neppure in casi eclatanti per errori ingiustificabili.
A distanza di tanti anni constatiamo che la magistratura è diventata più autonoma a scapito della indipendenza e il magistrato si sente non responsabile, in qualche modo al di sopra e al di fuori di qualunque contestazione e a malincuore accetta il giudizio della Corte d’appello e della Cassazione.
Di conseguenza la fiducia nei riguardi dalla funzione giudiziaria nel suo complesso è calata di molto anche per le vicende denunziate da Palamara per la mancanza di trasparenza del Csm, per la prevalenza delle correnti che regolano con faziosità l’organizzazione giudiziaria e per tante altre ragioni sistematiche o meramente organizzative.
La fiducia era valutata intorno al 68%, e ora è al 39% perché complessivamente c’è un grande disagio per i tempi lunghi dei processi, perché si ritiene che il magistrato è politicizzato, perché tante sentenze non convincono, soprattutto quelle che sono diametralmente in contrasto con il pubblico ministero.
Negli ultimi trent’anni la magistratura si è posta come baluardo per proteggere i cittadini dalla cattiva politica e dalla corruzione, per castigare i cattivi costumi dei cittadini, e quindi si pone come colui che fa il vincere il bene sul male. Il giudice etico, moralistico è negativo e pericoloso in uno Stato democratico e naturalmente alla fine delude il cittadino che chiede una giustizia al di sopra delle passioni e delle faziosità. Le domande referendarie a cui dovremo dare risposte sono cinque e la domanda, richiesta con firme regolari, sulla responsabilità civile non è stata ammessa dalla Corte Costituzionale. Abbiamo già espresso la nostra opinione sulla decisione dell’alta corte e non è il caso di ripeterci. Darò una indicazione succinta sulle cinque domande, riservandomi nel periodo non lungo della campagna elettorale di entrare nel merito, sulle quali è opportuno votare affermativamente premettendo una considerazione generale che credo fondamentale perché orientativa per gli elettori.
La giustizia attraversa una crisi profonda per ragioni generali e per una in particolare. La società civile è profondamente mutata, vi è stata un’esplosione di diritti, nuove libertà si intravedono, diverse e proprie di una società complessa, vi è stato un progresso della tecnologia che fa cambiare i rapporti tra i cittadini. Le istituzioni, l’organizzazione dello Stato non possono essere uguale a un secolo fa o anche a trent’anni fa. Tutti avvertono questa esigenza, magari senza risultati concreti, esclusa la magistratura che si adagia e si compiace dello stato attuale perché nella crisi degli altri poteri dello Stato pensa di rafforzare il proprio.
Eppure è la domanda di giustizia che è cambiata profondamente e che dà un’identità diversa alla società e di questo dovrebbe essere consapevole il magistrato. Da sempre l’Associazione Nazionale che rappresenta questo potere anomalo rifiuta qualunque riforma perché la ritiene “contro la sua autonomia e la sua indipendenza” e quindi ritiene di essere “intoccabile”. È per tanti un mistero come mai una classe di giuristi che esercitano funzioni delicate non si renda conto che la chiusura e la difesa della casta finirà per aumentare un discredito che certamente è dannoso per la democrazia.
La riforma che la ministra Cartabia ha presentato in Parlamento, che è stata votata finora dalla Camera, è un primo tentativo per curare i mali della giurisdizione, ma i magistrati - per fortuna non tutti - hanno indetto lo sciopero generale per creare ulteriore disagio cittadini. Eppure il loro compito è quello di applicare le leggi, non contestarle in maniera plateale, avendo il potere di impugnarle alla Corte Costituzionale. Di fronte a questo atteggiamento è importante una presa di posizione corale da parte dei cittadini elettori, che con il loro voto possono far fare un ulteriore passo alla riforma.
Ha ragione chi dice che la lamentela diffusa e costante del cittadino per la denegata giustizia, o per una giustizia non imparziale, non potrà continuare se non approfitta del referendum per dare un contributo a modificare la situazione attuale. Naturalmente il pronunciamento del cittadino non è e non deve essere “contro” la categoria; al contrario deve essere a favore, come alcuni illuminati, pochi in verità, riconoscono. È il caso di dire che il voto può aiutare la categoria a rinnovarsi e a dare spazio e protagonismo a chi è estraneo o vuole essere estraneo alle correnti.
Dunque, per riferirci rapidamente ai quesiti non possiamo non riconoscere che la distinzione tra la funzione della pubblica accusa e quella del giudice è percepita da chiunque, anche non giurista, come cosa positiva per la regolarità del processo, perché ognuno capisce che si tratta di un separare anche sul piano organizzativo due mestieri diversi; una regolamentazione più precisa sulla custodia cautelare in carcere, che ora è diventata anticipazione della pena, della quale il magistrato fa un uso smodato e non è più tollerabile, non può non interessare qualunque cittadino; la presenza del fascicolo personale del magistrato che attesti il lavoro svolto da cui deriva e può essere valutata è cosa sacrosanta, come lo è per qualunque cittadino la sua professionalità; la presenza degli avvocati nei consigli giudiziari per contribuire a dare un voto sulla professionalità del magistrato arricchisce la giurisdizione; la possibilità del magistrato di poter presentare la sua candidatura per le elezioni al Csm senza la necessità di firme dei suoi colleghi preventivi lo rende più distante e più indipendente dalle correnti; l’abrogazione della cosiddetta legge Severino, che regola i casi di decadenza dei politici e degli amministrativi, è la fine di un incubo per chi lavora con estremo pericolo negli enti locali. Insieme alla riforma approvata dal Parlamento queste domande, se avranno una risposta positiva dagli elettori, correggeranno piccoli o grandi disfunzioni che mettono l’Italia tra i paesi dove c’è carenza di giustizia o denegata giustizia e determineranno un rapporto più stretto tra la società e “l’ordine” giudiziario, visto che le sentenze sì fanno “in nome del popolo italiano”.