PHOTO
Processo da rifare per il magistrato più “pigro” d’Italia. Le Sezioni unite civili della Cassazione hanno annullato la sentenza di assoluzione emessa dalla Sezione disciplinare del Csm della magistratura nei confronti di un giudice di un Tribunale della Toscana famoso per scrivere le sentenze fuori tempo massimo. La vicenda era stata riportata all’inizio dell’anno da Il Dubbio.
Tempi infiniti per un provvedimento Il giudice toscano era finito sotto processo disciplinare per i ritardi con cui depositava i provvedimenti: alcune volte le parti dovevano attendere oltre cinque anni.
La situazione era stata segnalata dal suo presidente di Tribunale che aveva evidenziato come il magistrato in questione non fosse nelle condizioni di depositare le sentenze rispettando i tempi previsti.
E ciò nonostante avesse anche condiviso con lui un programma di smaltimento dell’arretrato. Il capo dell’Ufficio, infatti, vista la situazione fuori controllo, dopo aver esonerato il magistrato ritardatario dalla partecipazione alle udienze in cui non fosse relatore e dalla decisione dei reclami cautelari, aveva concordato una tabellina di marcia: depositare in un mese cinquanta sentenze e quaranta ordinanze, per un totale di tre provvedimenti al giorno.
Il piano di rientro era però stato inutile. Dopo appena qualche mese il crono programma era saltato senza che fosse stato minimamente raggiunto l’obiettivo. Da qui, dunque, l’inevitabile avvio del procedimento disciplinare.
Gravi violazioni Secondo il procuratore generale della Cassazione che aveva esercitato l’azione disciplinare, il magistrato ritardatario aveva violato i doveri di “diligenza e laboriosità”, determinando, nel quinquennio 2012- 2016, «una lesione evidente del diritto del cittadino ad una corretta e sollecita amministrazione della giustizia con conseguente compromissione del prestigio dell’Ordine giudiziario». A questo quadro bisognava anche aggiungere che il giudice era recidivo, essendo stato già condannato per avere, dal 2007 al 2012, depositato, sempre con ritardo di anni, altre centinaia di sentenze.
«Ritardi gravi ed ingiustificati aveva sottolineato il pg - nonché pregiudizievoli del diritto delle parti ad ottenere la definizione in tempi ragionevoli del processo secondo quanto previsto dall’art. 111 co 2 della Costituzione e 6 CEDU». Il Csm al termine dell’istruttoria aveva però assolto il giudice ritardatario.
Una decisione a sorpresa Una assoluzione che aveva destato più di una sorpresa, essendo in controtendenza con l’orientamento della disciplinare di Palazzo dei Marescialli, notoriamente inflessibile con chi ritarda, anche di poche settimane, il deposito delle sentenze. Figuriamoci quando i ritardi, come in questo caso, erano “istituzionalizzati”.
La decisione assolutoria del Csm partiva da una premessa, e cioè che sarebbero tollerati, secondo una non meglio indicata giurisprudenza, ritardi superiori al triplo del temine legale. Una sorta di “extrabonus” temporale che il giudice può spendersi prima di essere sanzionato.
Oltre a ciò, tralasciando alcune sentenze, la maggior parte dei ritardi si erano concentrati nel deposito delle “ordinanze istruttorie”. E questo, sempre a dire del Csm, non costituiva illecito disciplinare. A far pendere definitivamente la bilancia in favore del giudice, poi, il fatto che negli anni «non c’è stato alcun avvocato che si sia mai lamentato della gestione del ruolo del magistrato», ed alcuni motivi personali, come il ricovero di un familiare per dieci giorni in un ospedale, che gli avrebbero impedito il rispetto dei tempi.
Di diverso parere il procuratore generale della Cassazione ed il Ministero della giustizia che avevano impugnato la sentenza davanti alla Sezioni unite civili della Cassazione.
Le questioni d'appello E’ irrilevante il fatto che gli avvocati non abbiano mai protestato contro il giudice «in quanto l’illecito tutela il regolare corso della giustizia ed i principi del giusto processo».
Sui i motivi personali che il giudice aveva come giustificazione, comprensibilissimi, «il giudice poteva ricorrere a periodi di congedo o aspettativa».
Tali periodi di criticità, però, devono essere transitori ed eccezionali e non, come in questo caso, di durata ultra decennale. La decisione della Cassazione è arrivata nelle scorse settimane ed ha “bacchettato” i consiglieri del Csm con un lungo provvedimento.
In estrema sintesi, il ritardo tollerato è quello fino al triplo del termine fissato per il deposito.
La Corte di Strasburgo ha affermato che il ritardo non tollerabile è quello di un anno. Il Csm aveva ritenuto che la maggior parte dei ritardi era sotto l’anno, “dimenticandosi”, però, che quando questi ritardi sono numerosi hanno sempre rilievo disciplinare.
Inoltre, sempre secondo la Cassazione, era carente la motivazione. Si dovrà ora ripronunciare la Sezione disciplinare in diversa composizione.