PHOTO
carcere di Parma
Ha l’arto inferiore amputato, cardiopatico, affetto da ischemia, angioplastica, iperteso, diabetico, disfunzioni respiratorie. Si tratta di Giuseppe, un ergastolano che ha incompatibilità carceraria certificata ha 69 anni ed è da 27 in carcere. Poi c’è Salvatore, un altro ergastolano di 85 anni affetto da un aneurisma, trombosi e cardiopatia. Si trova in carcere da 25 anni. Oppure Maurizio, ergastolano in carcere da 23 anni, invalido al 100 per cento con accompagnatore, che ha una pregressa tubercolosi di grado severo, crisi depressive, attacchi di panico e claustrofobia. Non mancano i detenuti come il 72 enne ergastolano, in carcere da 28 anni, che ha la leucemia e afflitto da cecità. Oppure Giancarlo, che ha due tumori, uno al colon e l’altro ai testicoli.
Più che un carcere, quello di Parma è un vero e proprio lazzaretto. La lista è lunga, sono persone ristrette in cella, nella sezione As3, quella di alta sicurezza dove la carcerazione pone sostanzialmente limitazioni nel partecipare al programma di riabilitazione. Mol- ti hanno un’età che va dai 65 agli 85 anni, per di più invalidi al 100%, con persone detenute da decenni. La situazione sanitaria dei detenuti ristretti a Parma presenta un quadro che rompe con il luogo comune che in carcere non ci va nessuno e nessuno sconta gli anni fino alla fine. Eppure non solo scontano gli anni in carcere fino alla fine, ma la lunga permanenza in carcere, li priverebbe della possibilità di guarire. Soffrono di patologie fisiche gravi, spesso accompagnate da disturbi psichiatrici. Persone che sono da decenni in carcere e quando escono, lo fanno di solito tramite una bara. Come il caso dell’ergastolano Gaspare Raia morto l’anno scorso, nel mese di giugno. Aveva quasi ottant’anni e stava scontando l’ergastolo nel reparto As3 da più di 25 anni. All’inizio del mese le sue condizioni di salute erano peggiorate ed è stato ricoverato in ospedale, dove però i tre posti letto, riservati ai detenuti, erano occupati da altri ammalati in regime di 41 bis, tra i quali c’era Totò Riina. Aveva da tempo un tumore in fase avanzata e il giudice, solo pochi giorni prima che morisse, gli ha concesso gli arresti domiciliari per facilitare l’accesso del personale medico che lo aveva in cura.
L’istituto di Parma è un carcere di alta sicurezza noto per aver ospitato detenuti al 41 bis come Bernardo Provenzano ( deceduto nel luglio del 2016), Raffaele Cutolo ( il fondatore della Nuova Camorra Organizzata), e Totò Riina, morto a novembre del 2017. Più volte Il Dubbio ha denunciato la situazione critica legata all’invecchiamento della popolazione carceraria ( soprattutto quelli in 41 bis), ma soprattutto il problema legato alle persone detenute con gravissimi problemi fisici e psichici. Ora abbiamo la lista e l’ha ottenuta l’associazione Yairaiha Onlus, la cui presidente è Sandra Berardi, che da oltre 10 anni è impegnata nella lotta per l’abolizione dell’ergastolo, del 41 bis e per una amnistia generale. Ricordiamo che l’associazione recentemente ha promosso anche un appello - sottoscritto da giuristi, movimenti politici come Potere al Popolo, associazioni come Antigone e personalità come Ornella Favero, l’europarlamentare Eleonora Forenza o Francesco Maisto Presidente, emerito del Tribunale di Sorveglianza di Bologna – che chiedono la scarcerazione di tutti i detenuti gravemente malati. Partono dal caso Dell’Utri, accogliendo con favore la sua scarcerazione per incompatibilità con il carcere, dicendo che venga riconosciuta la sospensione della pena o la misura domiciliare a tutti i detenuti che presentano patologie analoghe o più gravi di quella riscontrata all’ex senatore. L’appello sottolinea che fra gli oltre 58.000 detenuti sono moltissime le persone affette da patologie gravissime: tumori, patologie psichiatriche, cardiovascolari, respiratorie, disabilità gravi, leucemie, diabete, morbo di Huntington. «Per la maggior parte, - sostengono i promotori dell’appello - gli istituti penitenziari - non sono attrezzati per le cure necessarie ed anche negli istituti dove sono presenti centri clinici le cure sono per lo più inadeguate, e rischiano di determinare l’aggravamento delle patologie».
Il carcere di massima sicurezza di Parma ne è un esempio, con un centro clinico che è ingolfato. Appena si liberano i pochi posti della sezione terapeutica alla quale l’amministrazione penitenziaria assegna i detenuti per il trattamento di patologie in fase acuta o cronica in fase di scompenso, subito vengono rimpiazzati da coloro che stanno male. Il reparto - allestito per un massimo di 30 posti - è diventato un punto di riferimento anche per gli altri penitenziari. Così il sovraffollamento aumenta e aumentano anche le persone malate. Poi accade che, a causa delle loro gravi patologie, i detenuti si sentono male e vengono ricoverati d’urgenza in ospedale. Non di rado, poi muoiono.