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Ventiquattro giorni bastano per passare da imprenditore di successo a ergastolano in una cella della Florida, condannato da una giuria popolare per un omicidio in concorso con ignoti, senza prove e senza movente. Era il 15 giugno 2000 e la vita di Enrico detto Chico Forti, ex campione di windsurf, produttore televisivo e imprenditore nato a Trento nel 1959, cambia per sempre. A vent’anni di distanza tutti scontati nel Dade Correctional Institution di Florida City, Forti continua a gridare di essere vittima di un errore giudiziario. Del suo caso si sono occupati Ferdinando Imposimato, suo legale italiano, e la criminologa Roberta Bruzzone: nel 2012 hanno presentato un report all’allora Ministro degli Esteri, Giulio Maria Terzi, per presentare richiesta di revisione. I media italiani hanno continuato a tenere alta l’attenzione sul caso Forti, anche grazie agli sforzi costanti della famiglia, e nei giorni scorsi il titolare della Farnesina, Luigi Di Maio, è tornato a occuparsi del detenuto italiano, chiamando l’ambasciatore italiano a Washington, Armando Verricchio. «In queste ore mi sto recando a Roma per avere novità», ha confermato Gianni, lo zio di Chico che non si è mai rassegnato all’ingiusta detenzione del nipote. Per ricostruire una vicenda che intreccia errori giudiziari, scorrettezze investigative ma soprattutto l’ombra sinistra di un omicidio illustre, quello dello stilista italiano Gianni Versace proprio a Miami, bisogna ritornare a quella fine degli anni Novanta, nelle assolate spiagge della Florida. Chico Forti, fisico atletico grazie ad anni di attività agonistica, si è trasferito in Florida nel 1992 grazie ad un incredibile colpo di fortuna. Nel 1990, fresco di convalescenza dopo un brutto incidente d’auto che ne ha interrotto la carriera di windsurfer, Forti partecipa allo gioco a premi televisivo “Telemike”, condotto da Mike Bongiorno, presentandosi sulla storia del windsurf e vince una forte somma di denaro che gli permette di trasferirsi negli States. Qui si sposa con la modella Heather Crane con la quale ha tre figli, Savannah Sky, Jenna Bleu e Francesco Luce, trova casa in un quartiere residenziale di Miami e si dedica all’attività di produttore di filmati di sport estremi. Inoltre, per arrotondare le entrate, inizia anche a fare l’intermediatore immobiliare. La vita della famiglia Forti procede tranquilla in un ambiente molto europeo: Miami è la città che ospita una comunità italiana molto nutrita di circa 300mila persone, per la maggior parte ricchi imprenditori, attivi nella moda e nella produzione di barche di lusso. Miami, però, è anche nota come “Miami Vice”, o la città del vizio. Del vizio e della criminalità: a partire dagli anni Ottanta, la città della Florida è il più grande punto di transito della cocaina proveniente dalla Colombia, dalla Bolivia e dal Perù e il flusso di droga porta milioni di dollari, corruzione a tutti i livelli e una escalation di crimini violenti, tanto da farla diventare una delle città più pericolose d’America.
Il delitto Versace
E’ qui che, il 15 luglio 1997, sotto gli occhi di molti testimoni viene freddato con due colpi di pistola alla testa Gianni Versace. L’assassino scappa ma viene subito identificato come Andrew Cunanan, gigolò ventisettenne accusato dell’omicidio di altre quattro persone. Il 24 luglio un custode dà all’allarme: in una casa galleggiante è nascosto un uomo che potrebbe essere Cunanan. Fbi, polizia, vigili del fuoco e guardia nazionale circondano l’abitazione e fanno irruzione. Trovano il cadavere del ragazzo, che sembra essersi sparato un colpo alla testa, ma qualcosa sulla scena non quadra. Il detective del Miami Beach Police Department, Gary Schiaffo inizia a indagare, è convinto che Cunanan sia stato ucciso altrove per poi inscenarne il suicidio. La morte di Versace attira l’interesse dei media di tutto il mondo e sconvolge la comunità italiana di Miami. Chico Forti, che già si occupa di produzioni televisive, si appassiona al caso apparentemente risolto ma in realtà per nulla chiaro e progetta di fare un documentario. A Miami conosce molte persone e si muove con facilità: grazie al vicino di casa tedesco Thomas Knott entra in contatto con il proprietario della casa in cui è stato trovato Cunanan e acquista i diritti per fare delle riprese, poi conosce anche Schiaffo, che gli fornisce un rapporto segreto e un referto medico che mettono in dubbio la versione ufficiale dei fatti. Il detective dovrebbe fornirgli anche alcune fotografie ma il rapporto si incrina forse a causa di ragioni economiche e si interrompe bruscamente. Intanto, però, il documentario-inchiesta sulla morte del presunto assassino di Versace è pronto ed espone l’attacco alla casa galleggiante come una clamorosa messinscena della polizia. Si intitola “Il sorriso della Medusa” e viene trasmesso in esclusiva su Rai3 nel 1997, adombrando responsabilità e corruzione della polizia di Miami Beach, che avrebbe coperto i veri responsabili del delitto dello stilista.
La calibro 22
Non vanno dimenticati, i nomi di Knott e Schiaffo. Aiutano Forti a produrre il suo documentario, avranno un ruolo determinante nel suo arresto. Pochi mesi dopo l’omicidio Versace, esattamente il 16 febbraio 1998, in un boschetto che delimita una spiaggia di Miami, viene trovato il corpo nudo del quarantaduenne Dale Pike, ucciso con due colpi di calibro 22 alla testa probabilmente la sera prima. Pike è figlio di Anthony Pike, proprietario di hotel a Ibiza in fallimento, ed è arrivato a Miami il giorno della sua morte con un biglietto dalla Malesia, pagato da Chico Forti. Tra i suoi effetti personali c’è anche una tessera telefonica e tra gli ultimi numeri chiamati c’è quello di Forti. Chico non ha mai conosciuto Dale ma sta trattando con il padre Anthony per l’acquisto del suo hotel a Ibiza, grazie all’intermediazione del vicino di casa Knott. Le carte sono pronte e firmate, Pike vuole andare all’incasso perchè non ha più un soldo e anzi chiede a Forti di pagare sia a lui che al figlio il biglietto aereo per Miami. Quello che Forti non sa è quell’albergo è un “white elephant”, un elefante bianco, ovvero una truffa. Pike e Knott sono due truffatori: Knott è stato condannato in Germania ed è fuggito dal paese proprio grazie a Pike; Pike non è più proprietario dell’hotel ed è sommerso dai debiti, inoltre la sua firma non ha valore legale perchè è interdetto. Pike figlio, dunque, sbarca in America a spese di Forti e il padre, che arriverà tre giorni dopo, chiede al nuovo amico italiano di prendersene cura. Forti lo va a prendere in aeroporto alle 18.30 del 15 febbraio e Dale gli chiede di accompagnarlo al parcheggio di un lussuoso ristorante, dove dice di avere un appuntamento con alcuni amici di Knott. Forti lo lascia vicino a una Lexus bianca e gli dà appuntamento il giorno dell’arrivo del padre. Dale viene ucciso poche ore dopo e l’arma del delitto non viene mai trovata.
L’accusa
Forti viene a conoscenza della morte di Dale solo tre giorni dopo: è a New York per incontrare Anthony Pike ma l’uomo non c’è. Così torna a Miami e il 19 febbraio va spontaneamente alla polizia, come persona informata dei fatti. Qui inizia la sequenza di violazioni dei diritti di Chico Forti. Lui non lo sa, ma la polizia lo considera già il principale indiziato per l’omicidio: i poliziotti lo interrogano senza un avvocato e gli mentono, dicendo che anche Anthony è stato trovato morto a New York, Forti si spaventa e commette l’errore che porta al precipitare degli eventi. Nell’interrogatorio registrato nega di aver mai incontrato Dale Pike o di essere andato a prenderlo all’aeroporto. Spaventato, la sera stessa chiama Gary Schiaffo, ormai in pensione e che lavora come detective privato, e gli chiede consiglio su come procedere. L’ex poliziotto lo rassicura e per questo Forti il giorno dopo torna al commissariato per consegnare i documenti della falsa compravendita dell’hotel. Immediatamente viene arrestato e sottoposto a 14 ore di interrogatorio, durante il quale ammette la menzogna e l’incontro con Dale Pike. Al momento dell’arresto, le accuse sono di frode per la compravendita dell’hotel, circonvenzione d’incapace ai danni di Anthony Pike e concorso in omicidio di Dale Pike. Liberato su cauzione, nei venti mesi seguenti cadono le accuse di frode (anche perchè il truffato sarebbe stato proprio Forti, visto che l’hotel non era più di Pike), ma l’accusa utilizza proprio questo come movente per il delitto. «La teoria dello Stato sul caso era che Enrico Forti avesse fatto uccidere Dale Pike perché Forti sapeva che Dale avrebbe interferito con i piani di Forti per acquisire dal padre demente, in modo fraudolento, il 100% di interesse di un hotel di Ibiza. Dale aveva viaggiato verso Miami dall’isola di Ibiza in modo che Forti avrebbe potuto “mostrargli il denaro” – quattro milioni di dollari richiesti per la transazione – per l’acquisto dell’albergo di suo padre. Forti semplicemente non lo aveva. Invece, Forti incontrò Dale all’aeroporto e lo condusse alla morte», scrive il pubblico ministero che istruisce il caso, Reid Rubin.
La trappola
Non esiste alcuna prova ma contro Forti lavorano sia l’accusa che l’avvocato difensore. Le indagini preliminari sul caso Pike vengono affidate ai detective Catherine Carter e Confessor Gonzales, entrambi parte della squadra investigativa di Schiaffo; lo stesso Schiaffo con cui Forti ha avuto screzi economici è alle dipendenze del pubblico ministero Reid Rubin proprio quando Forti gli chiede aiuto e viene mal consigliato. Infine, la conduzione del processo viene affidata a Victoria Platzer, anche lei membro della squadra di Schiaffo prima di essere nominata giudice. Tutti loro sono al corrente del documentario “Il sorriso della medusa” e del fatto che abbia screditato, con nomi e cognomi, l’operato della polizia di Miami, accusandola di corruzione. A carico di Forti esistono solo due indizi: l’arma del delitto non è mai stata trovata, ma sulla carta Chico Forti ha comprato una calibro 22 qualche giorno prima l’omicidio. In realtà, il commesso del negozio testimonia che la pistola viene scelta e presa da Thomas Knott, che era in compagnia di Forti e a cui aveva chiesto di anticipare i soldi perchè senza portafoglio. L’altra prova è la scheda telefonica accanto al cadavere con le chiamate della vittima al cellulare di Forti. Entrambe, però, a tempo zero di conversazione e avvenute prima ancora che Dale scendesse dall’aereo. Inoltre, si tratta di una scheda acquistabile solo negli Stati Uniti e dunque Pike non avrebbe potuto usarla: sarebbe, dunque, una prova messa ad hoc accanto al cadavere per incastrare Forti. Infine, a giocare contro Forti è anche il suo stesso legale Ira Loewy, tanto da far sospettare collusione con l’accusa (al momento dell’istruttoria del processo, lavorava come sostituto procuratore aggiunto nell’ufficio accanto a Reid Rubin). Addirittura, l’avvocato non avrebbe mai potuto patrocinare il caso per conflitto di interessi. La sua responsabilità più grave, tuttavia, è di aver concesso l’ultima parola all’accusa nella fase finale del processo: in questo modo Rubin ha potuto convincere la giuria, senza essere smentito, che il movente della truffa fosse esistente, nonostante Forti fosse già stato assolto dal reato. Forti viene condannato con la seguente motivazione: “La Corte non ha le prove che lei sig. Forti abbia premuto materialmente il grilletto, ma ho la sensazione, al di là di ogni dubbio, che lei sia stato l’istigatore del delitto. I suoi complici non sono stati trovati ma lo saranno un giorno e seguiranno il suo destino. Portate quest’uomo al penitenziario di Stato. Lo condanno all’ergastolo senza condizionale”. Nessuna prova oggettiva, nessun testimone, nessuna impronta, niente arma del delitto, movente inesistente. Per questo, da vent’anni, Forti grida la sua innocenza e chiede l’intervento dell’autorità italiana: per ora, gli appelli promossi per controvertire questa sentenza sono stati tutti rifiutati senza motivazione, ma la famiglia spera che il recente nuovo interessamento dell’Italia al caso Forti possa portare a qualche novità, per uno dei casi di malagiustizia più clamorosi della storia recente.