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Chi si aspettava una cosa del genere? Restare blindati a casa per più di due mesi. Ci siamo arrivati impreparati, ma abbiamo saputo reagire perché, come dice un proverbio siciliano, “è il morto che insegna a piangere”. Abbiamo atteso e attendiamo le decisioni governative che attengono alla nostra libertà e alla tutela della nostra salute e si basano sulle determinazioni di un gruppo di scienziati (finalmente! Ci voleva una pandemia!). Ma continuiamo ad essere in uno stato di inquietudine.Insomma, per esempio, la distanza che dobbiamo tenere dagli altri è 2 metri, 1 metro e mezzo o 1 metro? Così facciamo delle congetture che possono essere più o meno sballate, del tipo “il Coronavirus è una punizione della natura che abbiamo oltraggiato”: bisogna stare attenti perché la penso come Sciascia “sembra impossibile, ma esistono dei cretini intelligentissimi”. Oppure congetture più o meno fondate del tipo “il Coronavirus si propaga maggiormente nei luoghi dove c’è più pulviscolo atmosferico”. Bisogna accettare il fatto che gli scienziati devono decidere in condizioni di incertezza, perché questo virus è nuovo, diverso da altri e, quindi, è difficile stabilire cause ed effetti, e in condizioni di rischio, perché pare particolarmente pericoloso e molto contagioso. Uno scienziato ragiona in questo modo: se… allora. Se ad un tampone ho una certa risposta, allora la persona è infetta. Altrimenti la persona è sana o è guarita. Per questo, è impegnato in quelle che possiamo definire come “profezie retrospettive”: se staremo tutti in casa, allora il virus non potrà propagarsi. Se ci laveremo le mani… Se allarghiamo le maglie o se molliamo la presa (basta “se abbassiamo la guardia”, vi scongiuro!), allora rischiamo che l’epidemia ricominci a crescere.Questi se e allora costituiscono una catena. Se facciamo uscire la gente di casa e questa non si protegge, allora ci saranno più ammalati. Se ci saranno più ammalati, allora le strutture sanitarie non saranno in grado di reggere. Se non saranno in grado di reggere, allora ci saranno più morti…G li scienziati imparano a guardarsi dai falsi positivi (una persona che sembra malata, ma non lo è) e dai falsi negativi (una persona che non sembra malata, ma lo è). L’esperienza produce fatti che possono più o meno concordare con le nostre ipotesi e previsioni. Per esempio, un soggetto ha tutti i sintomi di chi è colpito dal virus, quali febbre alta, tosse e polmonite, ma il tampone dice che una persona non è infetta. Si tratta di un falso negativo? Il tampone dice che una persona è infetta, sebbene gli ultimi due tamponi precedenti abbiano segnalato l’assenza del virus. Si tratta di un falso positivo?Se riteniamo che il tampone discrimina, allora lo consideriamo un controfatto, cioè la prova che l’ipotesi da cui partiamo è sbagliata, quindi è smentita la tesi per la quale i tamponi stabiliscono quando uno è malato e quando è guarito. Se siamo portati a ritenere che il tampone discrimina, allora lo consideriamo un rompicapo, per cui dobbiamo cercare di capire perché la nostra ipotesi non ha funzionato, quindi creiamo una cintura protettiva, sostenendo, per esempio, che il tampone sia stato fatto male o che il virus sia presente, ma inerte. Sappiamo poi che, maggiormente stiamo attenti ad evitare i falsi positivi, più aumentano i falsi negativi, e viceversa. Così facendo, gli scienziati procedono per tentativi ed errori, che, se non sono grossolani e sono compiuti nel rispetto dei protocolli (se ci sono), bisogna accettarli perché fanno parte del metodo. Occorre dire queste cose altrimenti, con il senno del poi, risulteranno tutti incompetenti dal momento che il mondo è pieno di gente che, dopo, sapeva tutto prima.Bisogna, poi, non confondere le correlazioni con le cause. Due eventi possono essere correlati senza avere alcun nesso. Per esempio, mentre l’AIDS aumentava, cresceva anche la vendita dei personal computer. Oppure ci può essere una causa terza. In certi periodi dell’anno c’è un maggiore consumo di gelato e aumentano i crimini violenti. Nessuno determina l’altro, ma entrambi sono spiegati da un terzo fattore, quale l’aumento della temperatura atmosferica che ci fa venire più sete e ci rende più nervosi. Anche i bambini ormai sanno che non sono le cicogne a portare i bambini, però nei paesi nordici, anche quando la temperatura non era rigida, le cicogne si posavano sui tetti delle case dove c’erano i neonati e, per questo, si accendeva il fuoco al fine di avere acqua calda. Il Governo, poi, deve fare delle scelte, tenuto conto della dialettica politica e della pressione sociale. Come stiamo vedendo, ci sono decisioni diverse da Stato a Stato. Come si fa a non riprendere le attività economiche? Come si fa a vivere senza sport e senza cultura? Moriremo di povertà se non di Coronavirus. Se staremo fermi a casa, per definizione l’economia non girerà, quindi adesso tutti vogliono riaprire e ricominciare. Come sempre, il dramma della vita è che tutti hanno le loro ragioni e i governanti devono ricordare che un politico pensa alle prossime elezioni, mentre uno statista pensa alla prossima generazione.Ci sono tre stili decisionali in situazioni come questa: il massimassimo, tipico dei soggetti intraprendenti e rivolti a massimizzare i vantaggi, sottovalutando gli svantaggi, della serie “io già oggi vado nella mia casa al mare nel meridione e parto di notte così non se ne accorgono”; il massiminimo, tipico dei soggetti più cauti che tendono a minimizzare le perdite, della serie “vado dove mi hanno invitato nella casa di vacanza di amici che si trova nella mia Regione, anche se sono locali piccoli e saremo in tanti”; il protezionista, che si trova in una posizione intermedia e garantisce il minimo rimpianto in caso sia di vittoria sia di perdita. Mi riconosco in questo ultimo tipo; aspetto i permessi che ci daranno. Ho paura di restare infettato e di non riuscire a cavarmela. Credo con Bichat che “la vita è l’insieme delle forze che resistono alla morte”.Quello che ci resterà è questa sensazione della precarietà dell’esistenza. Ma ci dobbiamo abituare; come diceva Voltaire, ci sono circostanze in cui “il dubbio è fastidioso, ma la certezza è ridicola”.Ci siamo abbuffati, come è giusto d’altronde, di opinioni e pareri di scienziati della biomedicina, statistici e fisici. Occorre adesso che scienziati psicosociali tirino le fila per trarre dal confinamento, praticamente planetario, indicazioni per individuare da quello che è accaduto, ciò che servirà sul piano ambientale e sociale.C’è una domanda che ci arrovella: torneremo dopo l’estate a fare i processi di presenza? Quelli in cui, magari, in un’arringa dici la cosa che ti pare la più importante del processo, ma ti senti trasparente perché un Giudice sembra pensare ad altro, un altro legge le carte di un diverso processo e un altro ancora ha gli occhiali scuri da dibattimento. Che nostalgia! Sì, qui mi sento di dare una risposta incontrovertibile: Forse!