PHOTO
giudice verona
In questo congresso forense che si apre stamattina a Catania, nella magnifica Chiesa di San Nicolò l’Arena, si discuterà di politica. Scusate se lo dico in modo un po’ brutale, forse provocatorio, ma è così. Non sarà solo il congresso di una categoria professionale, non porrà sul tavolo semplici questioni sindacali, o di interesse, o di gruppo. Si discuterà di molte cose ma essenzialmente di una: del ruolo dell’avvocato, e della funzione della difesa, nella complessa costruzione della nostra Costituzione e della democrazia italiana. E questo tema è un tema squisitamente politico. Ho l’impressione, anzi, che sia la questione chiave della politica – e del funzionamento della democrazia – in questo frangente della storia nazionale.
Non fatevi ingannare dalla parola “forense”, che può suonare un po’ ovattata, lontana, sofisticata. Magari sa un po’ di accademia. Il congresso forense che apre oggi, e durerà fino a sabato, è molto meno distaccato e sofisticato – e molto meno vago – di tanti congressi di partito.
Oggi la politica– politica sta sempre di più diventando una politica politicante. Fatta di tattiche, di alleanze, di scalate al potere, di scandali veri o finti, di rapporti tra dirigenti, di ricerca del successo personale. Nei congressi di partito di cosa si discute? Fondamentalmente di queste cose qui: si cerca un segretario, un alleato, una strategia per arrivare al governo. Tattica, tattica, tattica e potere.
Questa è la politica? No, questa è un’altra cosa: è la biografia del potere.
La politica è quella che affronta le grandi idee e cerca di trovare il punto di raccordo tra ideali e governo. Al congresso di Catania si farà questo. Si cercherà una via per imporre nel dibattito pubblico due grandi temi ( che in sostanza poi sono uno solo): il diritto alla difesa nella giurisdizione, e l’affermazione dei diritti del cittadino e delle comunità. E per imporre questi due temi, e per compiere dei passi avanti su questi terreni, si pone la centralità della funzione dell’avvocato, innanzitutto nella giurisdizione, ma più in generale nel funzionamento di una moderna democrazia.
Bisogna convincersi che una democrazia non può vivere senza avvocati e senza diritto alla difesa. Avvocati e difesa non sono un lusso: sono pilastri.
Una democrazia moderna, certo, è essenzialmente la limpidezza delle sue regole: le elezioni, il loro funzionamento, la definizione del rapporto tra rappresentanza e governabilità, la legittimazione del potere. Ma non può essere più solo questo. Una moderna democrazia è un sistema che garantisce libertà, diritti della persona, privatezza, stato di diritto. Non c’è nessuna possibilità di concepire una democrazia, nel XXI secolo, senza il pieno rispetto e lo sviluppo dello Stato di diritto. E questo non è affatto scontato. Esistono correnti di pensiero anche molto vaste, e che raccolgono consistenti consensi, le quali immaginano che la funzionalità e l’efficienza di una democrazia sia inversamente proporzionale al riconoscimento dei diritti. E di conseguenza immaginano la riduzione dello Stato di diritto come un sacrificio necessario. A favore del mercato, o a favore dell’uguaglianza, a favore della semplicità del comando, dell’efficienza burocratica, della riduzione dei costi sociali.
Su questo punto è aperta la battaglia. Il problema è che le forze in campo sono difficilmente riconoscibili, e sono sparpagliate. Proprio perché le idealità, i principi, nell’agone della lotta politica sono sempre più vaghi. Avete sentito dire, recentemente, nel congresso di un grande partito, di sinistra o di destra, populista o borghese, o di élite, di un qualunque partito importante, che lo scontro e la battaglia sono concentrati su una differenza di idee che riguardano lo Stato di diritto?
Non lo avete mai sentito. Per questo a me sembra che se finalmente alcune grandi realtà, esterne al palazzo della politica, si mettono in movimento su questi temi, è buon segno. Dico un po’ di più: è l’unica speranza. La speranza solo da lì può venire: dai settori più avanzati e sensibili della società che prendono in mano direttamente alcuni grandi temi politici e chiedono con forza ai partiti di venire a discuterli, di schierarsi. In questo congresso forense emergerà, credo, con un certo clamore, una proposta precisa dell’avvocatura. Quella di rafforzare la figura dell’avvocato in Costituzione. La figura dell’avvocato, nella nostra Costituzione, già esiste, ma ancora è un po’ vaga, forse insufficiente, soprattutto dopo la riforma del Codice di Procedura che ormai ha quasi trent’anni. L’avvocatura ora propone che la figura dell’avvocato assuma un maggior rilievo, modificando l’articolo 111 della Costituzione, cioè quello sul giusto processo.
Qual è la ratio di questa iniziativa? Essenzialmente quella di dare più coerenza e incisività allo stesso articolo 111 della Costituzione, che prevede che la giustizia si basi sul processo, e il processo sul confronto, paritario, tra accusa e difesa e sulla terzietà del giudice. Però questa idea difficilmente viene applicata nella realtà. Il potere della accusa e la sua posizione privilegiata rispetto alla difesa sono ancora evidenti. Il rafforzamento della posizione dell’avvocato in Costituzione certamente può modificare questo equilibrio, rendendo più coerente la stessa Carta Costituzionale, e più corretto, e più garantista lo svolgimento del processo. In questo modo non si ridimensiona la posizione o il ruolo del magistrato. Semplicemente li si rende più coerenti al disegno Costituzionale. E si rafforza la stessa Costituzione che oggi sembra uno dei pochi punti fermi, di fronte all’infuriare, spesso confuso, spesso indecifrabile, della battaglia politica.
In prima pagina, e poi alle pagine 8 e 9, proprio oggi – prendendo spunto da un avvenimento di cronaca, e cioè l’arresto del sindaco di Riace Mimmo Lucano – pubblichiamo un estratto dell’arringa che Piero Calamandrei pronunciò nel 1956 a difesa di Danilo Dolci. E’ un testo splendido. Sia dal punto di vista giuridico sia da quello letterario. Al fondo del discorso c’è una idea semplice e forte, che era per Calamandrei un pilastro: l’idea che la Costituzione è il centro di tutto. E che la legalità, la legge, il diritto, il senso della battaglia politica, il funzionamento della vita civile, tutte queste cose vadano ricondotte alle indicazioni e al valore della Costituzione.
A Catania, oggi, si parte proprio da qui: dalla Costituzione. Non succede spesso, no?