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Chiusa l'inchiesta sulle violenze che sarebbero avvenute nel carcere napoletano di Poggioreale. I pm Giuseppina Loreto e Valeria Rametta hanno firmato gli avvisi di conclusione delle indagini per 22 agenti di polizia penitenziaria e un medico. I reati ipotizzati nei loro confronti vanno dal sequestro di persona, all'abuso di autorità, maltrattamenti, alle lesioni e alla violenza privata. I fatti, stando ai racconti di sei detenuti, risalgono al periodo compreso fra la fine del 2012 e i primi mesi del 2014. In particolar modo era emersa - grazie ad un servizio esclusivo di Fanpage a firma di Gaia Bozza - l'esistenza della famigerata "cella zero", ovvero senza arredi e soprattutto senza area di videosorveglianza. Lì, secondo le denunce, i detenuti venivano rinchiusi e torturati e subivano calci e pugni tali da perforare i timpani. I titolari dell'inchiesta giudiziaria avevano tra le mani altre testimonianze come quella di un recluso che aveva affermato di essere stato picchiato mentre rientrava in cella poco dopo un'udienza di consiglio di disciplina e di essere stato anche scaraventato giù dalla sedia a rotelle che utilizzava per problemi di salute. Un altro testimone, affetto da epilessia, ha detto di essere stato chiuso nelle docce, percosso e poi costretto a sottoscrivere una dichiarazione nella quale attestava di essersi procurato accidentalmente la ferita all'arcata sopraccigliare. I reati ipotizzati a vario titolo dalla Procura vanno dal sequestro di persona per i fatti della cosiddetta "cella zero" all'abuso di autorità, maltrattamenti, lesioni, violenza privata. Gli agenti di polizia penitenziaria rifiutano del tutto le accuse, e si dicono pronti a mostrare orari di lavoro e turni che smentirebbero i racconti.Il carcere di Poggioreale ha una storia molto particolare e l'esistenza della "cella zero" ha radici lontane che risalgono agli anni 80. Erano gli anni della faida interna della criminalità organizzata campana. Una guerra tra la "Nuova camorra organizzata" di Raffaele Cutolo e la "Nuova famiglia" che si combatteva anche all'interno delle carceri. Per salvaguardare la propria incolumità, ogni detenuto, anche chi non era affiliato, doveva proteggersi con la pistola e fare da sentinella armata all'interno del proprio padiglione. Per far fronte a tutto ciò, lo Stato faceva intervenire il corpo speciale della polizia penitenziaria. A raccontarlo - con una lettera a Il Garantista - era stato Piero Ioia, un ex detenuto al carcere di Poggioreale e ora presidente dell'associazione "ex detenuti organizzati napoletani". Fu lui che assistette alla nascita della "cella zero". Ioia ha raccontato che una mattina, mentre tra detenuti si commentava il trasferimento notturno e coatto di alcuni boss mafiosi avvenuto nei giorni precedenti, all'improvviso ci fu l'irruzione armata delle "teste di cuoio" dei penitenziari, un corpo speciale che dopo anni verrà denominato "Gom": Spararono all'impazzata verso il soffitto del padiglione. Ioia così ci ha narrato il seguito: "A quel punto tutti noi ci rifugiammo all'interno delle nostre celle. Io mi infilai sotto al mio letto dove sentivo fischiare le pallottole fin dentro la mia cella. Il tutto durò per pochi e interminabili minuti e restammo chiusi per tutta la giornata nelle celle". La pace però finì presto. "Verso le 19 e 45 della stessa giornata - continua Piero Ioia - sentimmo delle urla strazianti in lontananza. Piano piano si fecero sempre più forti finché fu la volta della nostra cella: entrarono due uomini alti, robusti e incappucciati dove con fucili alla mano ci intimarono di spogliarci nudi. Una volta spogliati ci pestarono con il calcio del fucile e ci obbligarono ad uscire di corsa fuori dalla cella. Ad aspettarci c'erano altri uomini che ci accompagnarono con calci, pugni e manganellate giù al piano terra. A quel punto, sotto il tiro delle armi, faccia al muro fummo pestati con manganelli dietro la schiena e sui glutei. Poi ci fecero correre tra le due fila composte da giovanissime guardie che arrivarono dalla scuola della polizia penitenziaria di Portici. Continuarono a pestarci con manganelli, pugni e, come se non bastasse, venimmo azzannati da pastori tedeschi". Le torture però non finirono lì: "Ad alcuni detenuti, i cani morsero i genitali e rischiarono di farseli strappare. Poi di corsa, tutti tumefatti, pieni di sangue e senza alcuna assistenza medica, fummo portati giù alle compresse dove all'epoca c'erano celle segrete molto ampie. Dopo due giorni, legato mani alla schiena e incappucciato, venni prelevato e portato in un ufficio. A quel punto mi fu tolto il cappuccio e vidi davanti a me molti uomini con il viso coperto. Alla domanda dove avevo nascosto la pistola, io risposi di non saperlo. Quindi mi fu rimesso il cappuccio e portato di peso al piano terra di un padiglione, mi fu tolto di nuovo il cappuccio e vidi una cella vuota con una luce rossa opaca, uno sgabello e una corda a cappio. Al tal punto io subito dissi dove nascosi l'arma e mi fu risparmiata l'ennesima tortura".Verità giudiziaria a parte, le cose sono cambiate nel carcere di Poggioreale: dopo lo scandalo emerso nel 2014, il direttore fu rimosso e quello nuovo ha cercato di ristabilire una serenità tra detenuti e guardie penitenziarie. Ma c'è ancora tanto da lavorare.