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Strasburgo
Nel programma Help il riferimento alla Corte europea dei diritti dell’uomo è costante. Questo organo giurisdizionale, istituito nel 1957 con sede a Strasburgo, assicura il rispetto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu) da parte di tutti gli Stati contraenti. L’articolo 32 della Cedu stabilisce che la Corte ha la competenza nel giudicare «tutte le questioni riguardanti l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione e dei suoi Protocolli». Può essere adita nel momento in cui vengono esauriti tutti i rimedi interni, previsti dal diritto nazionale, secondo i principi di sovranità dello Stato, di dominio riservato e di sussidiarietà. Dunque, uno Stato prima di essere chiamato a rispondere di un proprio illecito sul piano internazionale, deve avere la possibilità di porre fine alla violazione all’interno del proprio ordinamento giuridico. A ciascuno Stato contraente è garantita la rappresentatività nella Corte, composta da un numero di 47 membri. I componenti vengono scelti tra giuristi in possesso, secondo quanto indicato dall’articolo 21 della Cedu, di «requisiti richiesti per l’esercizio delle più alte funzioni giudiziarie o giureconsulti di riconosciuta competenza». I giudici della Corte vengono eletti dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ed il loro mandato dura sei anni con la possibilità di essere rinnovato. Riunita in seduta plenaria, la Corte elegge, a scrutinio segreto, il presidente, uno o due vicepresidenti e i presidenti delle sezioni, in carica per tre anni. L’elezione è prevista pure per il Cancelliere (Greffier) che rimane in carica cinque anni. Nella Corte operano i Comitati, composti da tre giudici. Sono loro che esaminano o respingono, se vi è unanimità, i ricorsi manifestamente irricevibili. Le Camere (Chambre), invece, sono composte da sette giudici e trattano i ricorsi in prima battuta. La Corte europea dei diritti dell’uomo viene adita con ricorso. Tale atto può essere “interstatale”, quando è proposto da ciascuno Stato contraente, oppure “individuale”. In questo caso si esalta al massimo il sistema di tutela dei diritti umani con la possibilità che il ricorso sia presentato da una persona fisica, da un’organizzazione non governativa o da un gruppo di individui. Il ricorso va proposto sempre nei confronti di un Stato contraente. Non è prevista la possibilità di ricorrere con atti diretti contro privati (persone fisiche od istituzioni). Il ricorso può essere introdotto dalle persone fisiche, dalle organizzazioni non governative o dai gruppi privati personalmente o per mezzo di un rappresentante. Gli Stati contraenti sono rappresentati invece da agenti, che possono farsi assistere da avvocati o consulenti. Instradare un procedimento davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo non è semplice, come ci conferma Oliviero Mazza, ordinario di Diritto processuale penale nell’Università degli Studi di Milano Bicocca. «L’attività processuale – dice il professor Mazza – è certamente complessa perché la Corte europea vive una situazione analoga a quella delle nostre magistrature superiori nazionali. La Corte si è riorganizzata nel corso del tempo. Si è divisa in Camere e ha attivato dei filtri di ingresso di ammissibilità dei ricorsi molto stringenti perché si basano su criteri formali. Ad esempio, l’esaurimento delle vie di ricorso interne e l’esatta compilazione del formulario. Sono tutte questioni di forma che incidono sulla ammissibilità del ricorso, che in Europa prende il nome di irricevibilità. In tutto ciò abbiamo un paradosso: la doglianza nel merito può essere molto rilevante se attiene a violazioni gravi dei diritti dell’uomo e nonostante ciò deve passare attraverso il formalismo esasperato del ricorso alla Corte europea. Qui il sistema va in contraddizione. È recentissima la sentenza sulla Cassazione civile “Succi e altri contro Italia” del 28 ottobre scorso. Il nostro Paese è stato condannato per i filtri di accesso alla Cassazione per l’eccessivo formalismo di alcuni passaggi procedurali, nel civile, con conseguente violazione del diritto di accesso ad un giudice, diritto fondamentale. Poi però è la stessa Corte europea che incorre sostanzialmente nella medesima violazione». Altro tema esaminato dal professor Mazza riguarda il filtro di irricevibilità che passa attraverso un giudice monocratico. In questo caso il legame con il modello dell’Ufficio per il processo è forte per non dire replicato a livello comunitario. «Il giudice monocratico – evidenzia Mazza – quasi sempre delega la valutazione al suo assistente di studio. Il ricorso alla Corte europea, che dovrebbe essere l’atto estremo per le violazioni più gravi, rischia di essere deciso da uno stagista. Anche questa situazione è a dir poco paradossale. La decisione di irricevibilità, fino a quando non entrerà in vigore un nuovo protocollo, già approvato ma non ancora in vigore, è sostanzialmente immotivata. Abbiamo una decisione di tre righe, che si esprime, per esempio, sul mancato esaurimento delle vie di ricorso interno, ma non ci dice qual è la via di ricorso interno che avremmo dovuto adire prima di arrivare alla Corte europea ».