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C’è il 41 bis, del quale si parla spesso. Una forma antica di carcere duro. Probabilmente anticostituzionale. Ma quasi nessuno sa se che esiste anche il 41 bis special, che è una forma di carcerazione ancora e parecchio più aspra del 41 bis. I detenuti sono tenuti in isolamento pressoché totale, in celle buie, spesso situate sottoterra, e minuscole. Racconta un detenuto che ha vissuto questa esperienza: «Per dieci anni sono stato isolato totale in una cella di un metro e 52 centimetri di larghezza per due metri e 52 centimetri di lunghezza, e cioè uno spazio occupato quasi tutto dal letto. Non mi arrivava un raggio di luce». Il 41 bis special è toccato per esempio al cugino del capocamorra Francesco Schiavone: «Non sentivo alcun rumore quando ero in cella, nemmeno una porta sbattere o una persona chiacchierare. Stavo impazzendo». Alla fine il cugino di Schiavone decise di dissociarsi. È questo lo scopo del 41 bis special? Indurre al pentimento? Allora non sarebbe più serio, e onesto, usare la tortura, come si faceva nel settecento?
Ulteriore riduzione dell’ora di socialità, isolamento pressoché totale, completamente al buio perché il più delle volte si è internati sottoterra. Un super 41 bis per alcuni condannati al 41 bis. Parliamo della cosiddetta “area riservata” che non ha nessun fondamento normativo, eppure è un atto amministrativo che viene applicato per i boss mafiosi di un certo calibro. Se già il 41 bis è al limite della Costituzione – è nato come misura emergenziale e avrebbe dovuto durare per un periodo limitato di tempo, ma poi è diventato perenne grazie alla legge del 2002 sotto il governo Berlusconi e reso ancora più duro nel 2009 sempre con il governo di centrodestra -, l’area riservata sospende completamente il dettato costituzionale. Sì, perché questo regime ulteriormente duro è stato più volte messo all’indice dagli organismi internazionali come il comitato europeo per la prevenzione sulla tortura ( Cpt), ma anche dal dossier della commissione dei diritti umani preseduta dal senatore Luigi Manconi e, non da ultimo, dal Garante nazionale dei diritti dei detenuti Mauro Palma. Il Cpt ha evidenziato il “quasi isolamento” previsto dal regime speciale di questa area riservata caratterizzato da un accesso limitato all’aria aperta, una socializzazione ridotta al minimo e con possibilità di accedere solo a spazi angusti. In alcune carceri, queste aree riservate riservano un isolamento totale.
Basti pensare al caso segnalato da Mauro Palma nella sua relazione del 2017. Il Garante parte dalla riflessione sull’applicazione congiunta del regime di sospensione delle regole del trattamento penitenziario previsto dall’articolo 41 bis, della sorveglianza speciale di cui all’articolo 14 bis e della pena dell’isolamento diurno prescritta dall’articolo 72 che danno luogo a stati di isolamento prolungato, protratto anche per molti anni, che incidono gravemente sull’integrità psichica e fisica della persona detenuta. Palma lo ha riscontrato nella Casa circondariale di Tolmezzo dove aveva incontrato un detenuto che era collocato nell’area riservata ed era in isolamento continuo da sei anni, senza poter accedere ad alcuna anche minima forma di socialità. Durante la visita effettuata dalla delegazione del Garante, la persona si presentava in condizioni igieniche ap- pena sufficienti e riferiva di soffrire di cecità dall’occhio sinistro per “foro maculare” e ridotta visibilità al destro per “cellophane maculare”. La condizione di isolamento continuo protratta per sei anni, verosimilmente responsabile anche del decadimento fisico, psichico e igienico del detenuto che trascorre le proprie giornate soltanto ascoltando la radio ( non potendo nemmeno guardare la televisione a causa del difetto visivo), secondo Mauro Palma pone concretamente la questione della compatibilità con i parametri dell’umanità della pena e del divieto di trattamenti inumani e degradanti dettati dalla Costituzione e dall’art. 3 della Convenzione europea per la tutela dei diritti umani.
Alla richiesta del Comitato europeo per la prevenzione della tortura avanzata nel 2008 di chiarire quale fosse la norma che istituisce tali aree, le autorità italiane l’hanno individuata nell’art. 32 del regolamento penitenziario, il quale prevede una separazione del detenuto che abbia un comportamento che richiede particolari cautele dal resto della comunità carceraria o l’assegnazione a istituti e sezioni per motivi cautelari, e cioè per la tutela dello stesso detenuto o dei compagni da possibili aggressioni o sopraffazioni. Eppure la spiegazione non risulta esaustiva visto che, nel caso delle aree riservate, manca la finalità di tutela del destinatario del provvedimento, che legittima l’assegnazione dell’art. 32. Inoltre, consistendo il regime speciale del 41 bis nella sospensione totale o parziale dell’applicazione del normale regime carcerario, in presenza di ragioni di ordine pubblico e di pubblica sicurezza, il riferimento a una fonte subordinata disciplinante regimi detentivi ordinari non sembrerebbe idoneo a giustificare la scelta di ricorrere a tale isolamento.
Un super 41 bis così duro, al punto che l’amministrazione passata, per non subire accuse di disumanità, ha dovuto inventarsi di trovare per ogni detenuto isolato in queste condizioni quello che nel gergo carcerario viene definito “dama di compagnia”, ovvero un altro detenuto sacrificato per dare una parvenza di umanità. Cosa significa? Oltre ai mafiosi di grosso calibro, vengono sacrificate altre persone che appartengono alla mafia di “basso rango”. Per capire meglio la durezza di tale regime, riportiamo una testimonianza tratta dal libro di Ornella Favero, giornalista e direttrice della rivista Ristretti Orizzonti, che ha una redazione composta da 35 detenuti del carcere “Due palazzi di Padova”. Il libro si intitola Cattivi per sempre? Voci dalle carceri: viaggio nei circuiti di Alta Sicurezza, uscito per la collana Le Staffette, edizioni Gruppo Abele. Raccoglie le storie di alcuni detenuti che hanno vissuto anni di regime duro al 41 bis. Tra questi c’è l’ergastolano Biagio Campailla che arrivò al 41 bis dopo aver vissuto nel carcere, dignitoso, del Belgio. Ad un tratto del suo percorso detentivo, dal 41 bis “normale” ( sempre se può definirsi tale) era stato messo nell’area riservata. «Per dieci anni sono stato isolato totale – racconta nel libro -, in una cella di un metro e cinquantadue di larghezza e due metri e cinquantadue di lunghezza compreso il letto e tutto, non mi arrivava nessun raggio di luce, perché era proprio come sotto terra». Campailla poi spiega il trattamento di “socialità”: «Nel regime di 41- bis area riservata, tu vai al massimo con un’altra persona, ti assegnano un altro compagno e ci sono anche dei periodi che per mesi e mesi rimani da solo; invece nelle sezioni di 41 bis non area riservata, sei assegnato con tre persone, puoi andare per quelle ore d’aria con quelle tre persone, puoi svolgere tutto con quelle tre persone».
Il regime 41 bis in area riservata è super duro, così duro che diventa per alcuni una tortura insostenibile. Così come accadde al cugino del capoclan Francesco Schiavone, suo omonimo detto “Cicciarello”, che lo portò a dissociarsi. «Non sentivo alcun rumore quando ero in cella – aveva spiegato ai giudici Schiavone – nemmeno una porta sbattere o una persona chiacchierare. Stavo impazzendo». Eppure il 41 bis ufficialmente non ha la funzione di portare la persona al pentimento, perché al contrario sarebbe una tortura. Oppure no? Ad oggi l’unica forza politica che chiede apertamente, da anni, il superamento del carcere duro è il Partito Radicale, a questo recentemente si è aggiunta la nuova formazione di sinistra radicale che si presenta alle elezioni politiche. Si chiama “Potere al popolo” e sul programma elettorale ha scritto nero su bianco che ne chiede l’abolizione.