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Antonello Talerico, presidente del Coa di Catanzaro
Continua la guerra tra avvocati e personale amministrativo. E si infiamma, a suon di esposti. Succede a Catanzaro, dove il Consiglio dell’Ordine Distrettuale ha deliberato di procedere con un formale esposto (ai fini disciplinari) nei confronti di Antonio Chiefalo, dirigente amministrativo del Tribunale ordinario di Catanzaro, per avere lo stesso «pubblicato su un giornale online una nota dai toni scomposti ed altamente offensivi per l’intera classe forense locale». La nota del dirigente amministrativo «era fondata sull’errato presupposto che alcuni esponenti dell’avvocatura locale avessero – a suo dire – criticato l’operato dei cancellieri, indi evidentemente strumentalizzando tale infondata constatazione, il dirigente articolava argomentazioni offensive e dai toni inconciliabili per il ruolo dallo stesso ricoperto e, con il chiaro intento di ingenerare nell’opinione pubblica l’errato convincimento che le componenti amministrative del Tribunale erano state “attaccate” dall’avvocatura, così pensando – il dirigente amministrativo – di assumere le vesti di “difensore” senza che vi fosse l’esistenza di alcun addebito». Il documento di Chiefalo, contesta però il CoA con una nota a firma del presidente Antonello Talerico, «non è un atto a tutela di alcuno dei cancellieri (poiché non sussiste alcun attacco da parte dell’avvocatura, né alcuna offesa ai dipendenti pubblici), bensì l’iniziativa del dirigente amministrativo è atto meramente di natura politica che mirava a travisare volutamente i reali termini impiegati dalle rappresentanze dell’avvocatura, che, invece, criticavano alcuni aspetti dello smart working e non già l’operato dei singoli cancellieri, oberati di lavoro per la carenza sistematica di personale da anni orsono e per la scelta, da parte del Legislatore, del lavoro “ a distanza”». Il Consiglio aveva esposto proprio sul Dubbio «i conflitti normativi per il mancato coordinamento degli articoli 83 e 87 del DL 18/2020 (convertito in Legge), in quanto alla estensione delle attività di udienza (ed in specie dopo il 1° luglio), non sarebbe corrisposto un rientro in servizio di tutti i dipendenti (con le dovute eccezioni) e, quindi plurime sarebbero state le criticità per la classe forense. Oltre a ciò l’Avvocatura evidenziava che le limitazioni dello smart working (condivise anche da parte della magistratura!) dovevano misurarsi anche con la impossibilità per i dipendenti pubblici di collegarsi da casa ai sistemi operativi/ registri telematici, con inevitabile impedimento allo svolgimento di talune attività di cancelleria - continua il CoA -. In tale quadro i singoli operatori presenti negli uffici sono stati costretti a sobbarcarsi anche il lavoro che prima veniva fatto da più unità operative, quindi era fisiologico che si manifestassero dei ritardi e/o la mancata evasione di alcune istanze o richieste (altro argomento dibattuto a livello nazionale)». Nel corso della conference call con il Dipartimento dell’Organizzazione Giudiziaria e sulla stampa nazionale, l'avvocatura catanzarese aveva sottolineato come l’impedimento all’accesso (fisico) in cancelleria dell’avvocatura «si sarebbe dovuto tradurre in un utilizzo più efficiente di altri strumenti, come le pec, le email ed i contatti telefonici. A tal proposito l’avvocatura locale facendo i dovuti distingui evidenziava che se da un lato alcune cancellerie del Tribunale di Catanzaro si erano rilevate virtuose ed encomiabili (cancellerie penali: Sezione dibattimento (entro 24 ore venivano consegnate sulla pec le copie richieste); Sezione gip-pup; Sorveglianza; Fallimenti (i depositi venivano “accettati” entro pochi minuti); Esecuzioni mobiliari -sono riusciti a smaltire tutte le istanze- ed immobiliari), talaltre (alcune cancellerie delle sezioni civili ordinarie del Tribunale) presentavano criticità importanti: mancata risposta ai contatti telefonici, mancata risposta alle pec, mancata risposta alle email. Tale condizione patologica (sicuramente giustificata dall’emergenza sanitaria, ma non per questo accettabile da parte dell’avvocatura), non è stata attribuita al singolo cancelliere e/o all’inadempimento dei singoli operatori di cancelleria, bensì alla mole di lavoro in eccesso che non poteva essere smaltito secondo le prescrizioni ministeriali». Il ministero della Giustizia e tutti gli apparati amministrativi di supporto, continua ancora la nota del CoA, «probabilmente non avevano considerato che in alcuni uffici vi erano soltanto poche unità o una sola unità (anche per via dello smart working) che avrebbe dovuto evadere centinaia e centinaia di richieste, rimaste prive di riscontro e/o necessariamente reiterate. Difatti, il dirigente amministrativo nel decontestualizzare e nello strumentalizzare le dichiarazioni delle rappresentanze dell’avvocatura ha compiuto un atto gravissimo che avrà sicuramente ulteriori risvolti, innanzitutto quello di aver creato tensioni nei rapporti avvocatura/cancellieri e di aver indotto commenti sui social fuoriluogo da parte di alcuni cancellieri rispetto ai quali si procederà comunque (sono in corso ulteriori verifiche che allo stato hanno individuato altra cancelliera (R.S.), responsabile di taluni commenti offensivi e, nei cui confronti verrà valutata ogni iniziativa per le dichiarazioni pubblicate)». Piuttosto, «il dirigente amministrativo avrebbe dovuto dare risposte sulle criticità evidenziate e procedere alle verifiche (al fine di prevedere delle soluzioni di supporto per i singoli operatori, con beneficio per la stessa avvocatura) nelle singole cancellerie (precisiamo con riferimento ad alcune cancellerie civili ordinarie del Tribunale e quindi non tutte) che non davano sovente riscontro telefonico o con pec (sul punto potremmo far pervenire all’attento dirigente amministrativo le dichiarazioni di non meno 500 avvocati di tutto il Distretto e, magari segnalarle anche al capo del dipartimento del Dog o al Direttore Generale del personale presso il Ministero), ciò per le più disparate ragioni, queste si di competenza del direttore amministrativo (come la difficoltà per gli avvocati di recuperare un titolo esecutivo e/o una copia conforme, per l’inevitabile esposizione anche a responsabilità professionale)». «L’argomento, quindi, non era classe forense contro componente amministrativa degli Uffici giudiziari, come gravemente è stato scritto – addirittura anche su alcuni post su facebook – da parte del dott. Chiefalo, bensì il tema era l’inadeguatezza delle soluzioni prescritte dal ministero della Giustizia, ovvero la mancata adozione di soluzioni risolutive. Del resto, si aggiunga che il dirigente amministrativo di un Ufficio giudiziario : - non deve utilizzare a fini privati (il Chiefalo afferma di aver scritto a titolo personale) le informazioni di cui disponga per ragioni d'ufficio (ndr: per come invece è avvenuto nel caso di specie); - Nello svolgimento della propria attività, deve stabilire un rapporto di fiducia e di collaborazione nei rapporti interpersonali con gli utenti (e, quindi anche con l’Avvocatura, che il Da considera “utenza professionale”), mantenendo una condotta uniformata a principi di correttezza e astenendosi da comportamenti che possono nuocere all’immagine dell’amministrazione (ndr: offendere una intera classe forense non rientra in questi canoni di comportamento); - Nell’ambito della propria attività, mantenere un comportamento conforme al ruolo di dirigente pubblico (ndr: la continenza formale e sostanziale della nota in commento contrastano con questi elementari principi); - Deve astenersi di diffamare il pubblico (per cui è prevista la sanzione della sospensione) e, tra questi rientra anche l’avvocatura». «La condotta del dirigente amministrativo che viola alcuni dei detti canoni deontologici - continua la nota - potrebbe determinare per lo stesso, anche una incompatibilità ambientale, ovvero un difetto di imparzialità su quegli atti e attività che potrebbero incidere sulla classe forense. Si aggiunga - infine e non certo per importanza - che nel caso di specie si è fatto uso di informazioni assunte in ragione del proprio ufficio, con chiare finalità politiche, peraltro senza tener minimamente in conto i canoni di lealtà, probità, imparzialità e decoro che dovrebbero condizionare (limitandole) le funzioni di un dirigente amministrativo. Non può davvero non considerarsi che le infamanti affermazioni del Chiefalo ledano, non solo l’onore ed il decoro dell’avvocatura, ma prima ancora l’immagine delle istituzioni locali del settore giustizia. Ciò in quanto gli articoli ed i post offensivi risultano ancora essere regolarmente pubblicati e diffusi nei vari canali, con ciò determinandosi la necessità di un’azione cautelare con richiesta di risarcimento del danno». In conclusione, «l’avvocatura vuole, invece, continuare ad avere un dialogo importante con i veri e diretti interlocutori, ovvero con la magistratura ed in particolare con i capi degli uffici giudiziari, con i quali nel periodo del lockdown è stato possibile lavorare e confrontarsi per l’adozione dei protocolli che certamente non potevano essere la soluzione a tutti i “mali” (in parte già presenti) del sistema giustizia. Per quanto riguarda i rapporti con gli operatori delle diverse cancellerie, l’avvocatura ha sempre mantenuto ottimi rapporti in ragione della considerazione e del rispetto reciproco, anche per il grande lavoro compiuto da parte di taluni uffici, pertanto, nell’interesse di tutti, gli eventuali comportamenti irriguardosi verso l’avvocatura verranno segnalati e perseguiti in ogni sede, ciò in conseguenza del tenore della nota del dirigente amministrativo, che ha allo stato innescato una fase di grave tensione».