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Dal nostro inviato alla Leopolda «Il garantismo sta al giustizialismo come la democrazia sta alla dittatura». È il giorno dedicato alla giustizia alla Leopolda e Matteo Renzi introduce così l'argomento. Sul palco si alternano oratori "tecnici": Enrico Costa, Annamaria Bernardini de Pace, Gian Domenico Caiazza, Sabino Cassese, Carlo Nordio, Alessandro Barbano. Il primo a prendere il microfono è Enrico Costa, deputato di Azione, che si scaglia contro il processo show che trasforma in sentenza le indagini preliminari. «Provate a pensare alle conferenze stampa, sono inchieste presentate come dei film: abbiamo i protagonisti, che sono i pm, e persino i trailer». Questo grazie al recepimento della direttiva sulla presunzione d'innocenza «tutto questo non sarà più possibile», dice. «Oggi la sentenza è quella conferenza stampa, quel titolo di giornale che si diffonde in rete. La sentenza vera arriverà dopo anni, quando non interesserà a nessuno», dice Costa, convinto che invece il compito dello Stato sia quello di «garantire al cittadino quando esce da innocente da un processo penale di essere la stessa persona» che era prima del processo, dice, guadagnandosi il plauso del padrone di casa, che a fine intervento commenta: «Non riesco a capire come alle prossime elezioni potremo andare divisi», scandisce Renzi, anticipando il probabile contenitore centrista che potrebbe vedere insieme Italia viva, Azione e parte di Forza Italia insieme. Poi tocca al presidente delle Camere penali italiane, Gian Domenico Caiazza, prendere il microfono: «La riforma Cartabia non basta. Anzi, vediamo ritardi gravi a affrontare le questioni della giustizia penale. A partire dalla necessità di riequilibrare i poteri dello Stato. Uno dei tre, quello giudiziario, ha esondato dai propri limiti costituzionali, è in grado di determinare la vita politica anche solo con un'iscrizione nel registro degli indagati», esordisce il leader dei penalisti. «Questo è il punto cruciale», aggiunge. E per per riequilibrare quel potere «bisogna fare una riforma radicale dell'ordinamento giudiziario. Non è il sistema elettorale», che cambia le cose, «ma la responsabilità professionale. Un magistrato deve rispondere di ciò che compie, un potere così importante irresponsabili squilibra tutto. Devi rispondere dei risultati che hai ottenuto. Devi rispondere di aver condizionato l'esito di un governo senza una ragione. Devi rispondere di questo. E dobbiamo capire insieme come si possa fare. Dobbiamo anche intervenire su un altro dato anomalo: ad ogni governo vengono distaccati più di 200 magistrati. C'è una commistione fisica tra il potere giudiziario e quello esecutivo. Non accade in nessun paese del mondo. Dobbiamo recuperare i principi liberali del diritto penale: un complesso di regole. Chi interviene sulla nostra libertà deve risponderne». Ma è il costituzionalista Sabino Cassese a scaldare più di ogni altro la platea della Leopolda, che inizia a parlare sciorinando dati: «C'è un arretrato di sei milioni di procedure. la fiducia della popolazione italiana nella giustizia si è quasi dimezzata negli ultimi 10 anni», dice. «C'è una crescente domanda di giustizia non soddisfatta, ci sono sei milioni che attendono giustizia. È un dato fondamentale per capire la crisi della giustizia». Una crisi dovuta soprattutto all'iperattivismo di alcuni magistrati, più interessati alla "pubblicità" delle proprie inchieste che all'amministrazione della giustizia in sé. «La Costituzione prevedeva uno scudo per evitare la politicizzazione della giustizia e preservare l'indipendenza dei magistrati. Ma in una lenta azione interpretativa l'indipendenza è diventata autogoverno». Così le toghe si sono trasformate in una «sorta di Stato nello Stato. Basti pensare al fatto che il Csm non fornisce i dati dei propri dipendenti al Mef perché pensa di essere indipendente. C'è uno Stato nello Stato che si è venuto a creare negli ultimi anni. Si sta verificando un fenomeno opposto a quello pensato dai costituenti: si è sviluppata una politicizzazione endogena, all'interno della magistratura. Quindi i poteri, invece di essere separati sono concentrati all'interno dell'ordine giudiziario». Ad evidenziare lo strapotere dei magistrati anche Carlo Nordio, già procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di Venezia. «Il pubblico ministero italiano è l’unico organismo al mondo che ha un potere immenso senza nessuna responsabilità, in base all’obbligatorietà dell’azione penale che è diventata in realtà un libero arbitrio, lui indaga su chiunque, come vuole e quando vuole, senza rispondere a nessuno perché gode delle stesse guarentigie del giudice. È una cosa demenziale», ha affermato in collegamento con la Leopolda. «Il pm - ha aggiunto - è arbitro assoluto nel decidere cosa e importante e cosa no nell’indagine anche se questi atti non hanno nessuna rilevanza. Può succedere allora come nel caso Open che si producano, nella piena legalità, 90.000 pagine. Che poi qualcuno abbia indicato a un giornalista le pagine più succulente questo è un altro discorso». Secondo l’ex magistrato ,«i rapporti tra stampa e magistratura avvengono perché nessuno vigila sul mantenimento del segreto istruttorio e guarda caso certi giornali amici vengono a conoscenza di notizie. I magistrati vengono poi ripagati dai giornalisti attraverso una incensazione che spiana una futura carriera politica». Ad Alessandro Barbano tocca il compito di raccontare il cortocircuito sulla giustizia che riguarda invece l'informazione, «la gogna anticipata, la condanna anticipata». Ridurre il problema della giustizia al rapporto tra magistratura e politica «non è che la punta dell'iceberg», dice, «perché la giustizia è la più potente macchina di dolore umano presente in questo paese». E poi ammonisce anche a non cadere nella retorica dell'antimafia secondo cui sotto «l'ombrello della legalità si nasconde sia solo il bene. Un diritto penale liberale non confisca proprietà a cittadini innocenti o addirittura assolti. Un diritto penale non può contenere nel suo ordinamento l'ergastolo ostativo che concede la liberazione dopo 30 anni solo se hai collaborato attivamente coi pm».