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«I pm non possono costruire brillanti carriere sulle infamie gettate addosso a chi è solo indagato». Parole forti. Giuste. E ancora più pesanti se a pronunciarle è un magistrato. Le ha scelte per il proprio discorso d’insediamento Ambrogio Cartosio, nuovo procuratore di Termini Imerese. Cartosio è un uomo mite, asciutto, accompagnato da recente notorietà per l’inchiesta sulla nave Iuventa ma dai modi che nascondono persino una certa timidezza. Non è un pm che insegue paginate sui giornali. Non a caso introduce il richiamo sulle inchieste come arma distruttiva dell’esistenza altrui con la questione del rapporto con i media, strettamente connessa all’altro tema.
Rapporto che, attenzione, non deve consistere in chiusura e impenetrabilità. Anzi, Cartosio parte proprio dalla dichiarazione di avere, come progetto per l’ufficio alla cui giuda è stato assegnato, un’idea di «apertura» e di rapporto trasparente con la comunità, organi di informazione compresi. Cosa che evidentemente, secondo il nuovo procuratore di Termini imerese, è possibile senza ricorrere a indagini basate sul clamore, sulla ricerca dell’indagato eccellente.
Un bell’esempio di cultura della giurisdizione rigorosa e nello stesso tempo consaspevole delle esigenze che si impongono oggi ai magistrati. Come spesso ha ripetuto l’attuale vicepresidente del Csm Giovanni Legnini, «sarebbe opportuno che gli uffici giudiziari avessero una capacità e si dotassero di strumenti atti a comunicare con l’esterno in modo efficace e corretto». Tra l’impenetrabilità e le inchieste spettacolo c’è dunque una via di equilibrio che sarebbe giusto percorrere. E sembra quel- la indicata dal capo dei pm di Termini.
L’opinione pubblica, spiega Cartosio, «ha diritto di essere informata». Innanzitutto quando si procede «a compiere arresti, perché non siamo in un Paese ditta- toriale in cui le persone spariscono come desaparecidos». Ma l’informazione «deve essere contemperata con il massimo rispetto per le persone che vengono arrestate, e che però sono la Procura e la polizia giudiziaria a indicare unilateralmente come autori di un reato. Saranno poi i giudici a stabilire se il soggetto è veramente colpevole». Potrebbero sembrare assiomi superflui da richiamare. Ma alla luce di come spesso viene gestita l’informazione sulle inchieste, andrebbero scolpiti ed esposti in tutti i palazzi di giustizia del Paese.
La presunzione di colpevolezza così esemplarmente evocata spiega perché, continua il procuratore nel discorso con cui si è insediato due giorni fa, «i pm, nel rapporto con la stampa, debbano mantenere la massima continenza. Non devono seguire le lusinghe delle apparizioni su organi di stampa e tv, lusinghe che», avverte appunto il nuovo capo dell’ufficio inquirente siciliano, «possono far fare carriere brillanti, ma a volte si tratta di carriere costruite su un’infamia gettata addosso a persone che poi nel tempo si rivelano diverse da com’erano state dipinte» . Tanto per essere chiaro con i 9 magistrati della Procura appena affidatagli, Cartosio ribadisce: «Questo ufficio darà le informazioni necessarie, ma non saranno ammessi protagonismi, non sarà ammesso, soprattutto, che la reputazione delle persone venga infangata facilmente». Il magistrato perbene.
sa che il suo non è esattamente il tipico discorso d’insediamento di un procuratore, e allora alza il tono nell’aula magna del Tribunale di Termini imerese – dove con il presidente Raimondo Loforti lo ascoltano pm, giudici e personale degli uffici insieme con tutte le autorità locali – e spiega che quello del clamore mediatico sulle indagini «è un tema enorme, gigantesco, perché il proliferare di trasmissioni e dibattiti sulla presunta colpevolezza di questo o quel soggetto è diventata una vera e propria malattia sociale». E, ancora con ammirevole apertura, il procuratore dichiara: «Devono essere i magistrati a farsi carico di arginare questo fenomeno».
Tutto qui? E no. Perché intanto Cartosio ricorda di essere stato «un allievo di Paolo Borsellino: ero con lui alla Dda e credo sia evidente che con Giovanni Falcone è stato lui a far diventare la lotta alla mafia una cosa seria: prima i capi degli uffici ti dissuadevano, sostanzialmente ti dicevano che era meglio dedicarsi ad altro ‘ tanto la mafia non esiste’…». E come se non bastasse il procuratore di Termini infrange un altro tabù, il rapporto tra pm e avvocato: «Se il lavoro del pm ha una dignità, ce l’ha perché esiste l’avvocato. Che è lì a farti le pulci, a cercare di farti venire dei dubbi, che ti scuote dalle tue certezze. E tu, pm, devi essere capace di rivederle. Non è che ti abbarbichi a una convinzione sbagliata solo perché la tua controparte ti ha messo in condizione di riconoscerla come tale… È l’errore peggiore che si possa fare da parte di un pubblico ministero». Cartosio, per inciso, ha preso possesso dell’incarico direttivo a Termini dopo anni trascorsi da aggiunto a Trapani. Ufficio quest’ultimo dove negli ultimi mesi aveva svolto il ruolo di capo facente funzioni e dove si è appena insediato, come nuovo procuratore, Alfredo Morvilo, con cui il collega ora nell’ex città della Fiat si è avvicendato. Una figura, quella di Cartosio, che a 25 anni di distanza conferma come da quelle parti il seme lasciato da Falcone e Borsellino viva ancora nell’attività di qualche magistrato