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La tregua nella maggioranza regge. La tregua sulla prescrizione, s’intende. Non vuol dire che già sia stata riscritta la norma, ma che fronte garantista e Movimento 5 Stelle aderiscono entrambi, almeno per ora, alla logica indicata nell’ordine del giorno Cartabia. Ieri alla Camera, al termine dell’esame sul decreto Milleproroghe, il governo ovviamente lo ha accolto, mentre l’Aula ha respinto quello di Fratelli d’Italia, che impegnava in modo esplicito l’esecutivo a «superare quanto prima» la legge Bonafede. Ma lo stesso obiettivo è contenuto, di fatto, anche nel “lodo” della guardasigilli. Secondo cui si deve «raggiungere un punto di equilibrio, che assicuri il contemperamento» fra «effettività nell’accertamento dei reati e delle responsabilità personali» e «tutela dei diritti fondamentali della persona, attuazione dei principi del giusto processo e della funzione rieducativa della pena». E la pena non può essere rieducativa se «inflitta ad eccessiva distanza dai fatti», oppure si «rischia di veder vanificata la funzione che le assegna l’articolo 27 della Costituzione», giacché si andrebbe a incidere «su una personalità mutata o per la quale diventa impossibile la costruzione di un percorso rieducativo». Marta Cartabia, costituzionalista e guardasigilli, lo sa. E ha tracciato, con quel sottile richiamo, una linea chiarissima.
Ieri, dopo il voto sul testo di Fratelli d’Italia, il tabellone luminoso ha riportato numeri quasi identici a quelli mostrati il giorno prima, quando era stato bocciato l’analogo emendamento del partito di Giorgia Meloni: 241 voti contrari, quelli di Pd, M5S e Leu, 27 favorevoli, una caterva di astensioni, 189, espresse dai gruppi di FI, Lega e Italia viva, l’uscita dall’Aula di Azione. Enrico Costa chiarisce: «Non partecipo perché per coerenza avrei dovuto approvare il testo di FdI. Abbiamo trovato un equilibrio di maggioranza nell’ordine del giorno condiviso con la ministra Cartabia. Certo, se i tempi si allungassero, tornerei a proporre il congelamento della prescrizione di Bonafede».
Al di là dell’arlecchino di posizioni, prevalgono gli indizi di un intervento che vada ben oltre il lodo Conte bis. Basta ascoltare il capogruppo dem in commissione Giustizia Alfredo Bazoli: «Sarà il ddl Bonafede sul processo penale l’occasione per misurarci su una riforma di sistema che superi» tra l’altro «le forzature e le contraddizioni della riforma della prescrizione approvata da M5S e Lega. Una disciplina che necessita certamente di essere migliorata». Il Pd sembra ormai convinto di convergere verso l’ipotesi della prescrizione per fasi, o prescrizione processuale ( come dice con chiarezza il responsabile Giustizia Walter Verini in un’intervista pubblicata in altra parte del giornale, ndr).
Non piacerà ai 5 stelle. In parte lo ribadisce Mario Perantoni, deputato del Movimento e presidente della commissione Giustizia: nell’intesa di maggioranza vede ribaditi i «principi cardine della efficienza del sistema, dei giusti tempi di durata dei processi e della esclusione di scappatoie per l’impunità». Bonafede era stato ancora più netto nel definire invalicabile «il perimetro del lodo Conte bis». In realtà, del suo ddl penale non solo verrà cambiato quel controverso aggiustamento della prescrizione, ma anche varie ritrosie, come quelle sul patteggiamento. Ieri è tornato a chiederlo il presidente dell’Unione Camere penali Gian Domenico Caiazza: «Non è chiaro qual è la riforma che dovrà superare la norma sulla prescrizione: se è il ddl Bonafede, Dio ce ne scampi e liberi». Il destino è segnato: l’ 8 marzo scade il termine degli emendamenti su quella riforma del processo penale. Il limite potrebbe slittare di altre due settimane al massimo, non di più. È in quel passaggio che Cartabia potrebbe presentare un proprio schema correttivo sulla prescrizione. Ed è lì forse che potrebbe svanire l’idillio nella maggioranza. Anche sew sembra presto per dire che a quel punto il Movimento 5 Stelle deciderebbe di non farne più parte.