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«La determinazione del presidente Draghi di andare fino in fondo per me è stato un fattore decisivo. E questa riforma è stata veramente voluta da tutti, per cui non chiamatela "riforma Cartabia". L’ostacolo, il volto della politica nel momento in cui smette di ragionare sul problema concreto da risolvere». Così la ministra della Giustizia Marta Cartabia, ospite di un forum nella redazione di Repubblica. «L’obiettivo della riforma è far arrivare a conclusione nel merito ogni, e ribadisco ogni, processo. Quanto ai reati per mafia, già nella prima bozza approvata l’8 luglio, c’era un’attenzione particolare. Questo perché nel nostro ordinamento ci sono regole dedicate per i reati gravi. Non a caso si parla di "doppio binario". Quindi è stato del tutto naturale prevedere da subito regole diverse. L’improcedibilità, ad esempio, era già esclusa per i reati puniti con l’ergastolo. I processi di mafia sono trattati con priorità anche per la presenza di imputati detenuti. Se poi si considerano i dati di durata media dei processi nelle Corti d’Appello possiamo dire che il pericolo di mandare in fumo, come si suol dire, i processi di mafia non c’è mai stato. In ogni caso - spiega - a fronte di preoccupazioni manifestate da più parti, abbiamo previsto una norma transitoria, per l’entrata in vigore con tempi più lunghi e abbiamo introdotto un nuovo sistema: proroghe rinnovabili, ma sempre motivate e sempre impugnabili in Cassazione. Stiamo attenti, non si tratta di processi senza limite, ma proroghe rinnovabili solo con un’ordinanza motivata. Il giudice cioè si assume la responsabilità di dire che ha bisogno di più tempo». La sua riforma può essere l’inizio di un cambiamento per il nostro Paese? «Penso proprio di sì - risponde Cartabia - Anche perché è una riforma accompagnata da importanti interventi strutturali. Ora, però, per la prima volta abbiamo posto in primo piano il problema dei tempi della giustizia. Perché una giustizia che impiega troppo tempo non è giustizia. Neanche per l’accertamento dei fatti e delle responsabilità. Questo è già l’inizio di un cambiamento importante, nell’interesse di tutti: delle vittime e degli imputati, che spesso vengono anche assolti. E devono saperlo il prima possibile! Ecco, questo è un treno che si sta muovendo in quella direzione. E c’è una grande attenzione internazionale verso l’Italia. Non a caso il New York Times ha detto che è stata "schiacciata una delle noci più dure" per il governo di mister Draghi». A che punto siamo sulla riforma del processo civile e del Csm? «La riforma del civile è passata un pò inosservata, perché attira meno il dibattito pubblico, ma i nostri emendamenti sono già al Senato. È una riforma importante. A quella del Csm - spiega Cartabia - stiamo lavorando. Per entrambe ho seguito lo stesso metodo della riforma penale. Ma ci sono anche altre urgenze, come la riforma della crisi di impresa, importantissima per gli operatori economici». Non pensa che il nostro Paese abbia bisogno di un diritto penale minimo? «Quando emerge motivo di allarme sociale è automatico reagire con lo strumento penale per dare il segnale del disvalore. Ma la sanzione penale non sempre è la via migliore. Bisogna favorire le sanzioni alternative. E nella riforma c’è una parte, di cui purtroppo non si parla, che va in questa direzione. La Costituzione parla di pene - evidenzia - non di carcere. E queste pene possono essere di vario tipo».