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«Sono contento. Perché le scuse di Luigi Di Maio non sono state rivolte solo a me, ma anche alla mia famiglia. E non è una piccola cosa: ci si dimentica troppe volte di questi aspetti umani, che la gogna colpisce anche loro. Dunque le accetto». La voce di Simone Uggetti, ex sindaco di Lodi, di recente assolto dall’accusa di turbativa d’asta, tradisce ancora il dolore vissuto in questi cinque anni lunghissimi. Anni in cui la sua vita è cambiata radicalmente, in cui «mi sono dovuto reinventare» e fare i conti continuamente con odio e rancore. Sentimenti che sono stati i partiti politici, in prima fila M5S e Lega, ad autorizzare e incitare, alimentando una gogna che ha fagocitato la vita di Uggetti e della sua famiglia. Cinque anni dopo, assieme all’assoluzione, sono arrivate inaspettate anche le scuse del ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che in una lettera indirizzata al Foglio ha fatto autocritica, parlando di modalità «grottesche e disdicevoli». E affermando, finalmente, il diritto al rispetto della dignità, «fino a sentenza definitiva e anche successivamente». Un vero e proprio cambio di pelle che oggi Uggetti accoglie di buon grado: «Credo che quello del M5S sia un percorso di maturazione che non è ancora giunto al termine, ma che è reale. Certo, alcuni come me hanno dovuto sopportare la gogna. Però se il mio sacrificio personale può servire a questa maturazione almeno un piccolo modesto senso al mio dolore posso darlo». Uggetti era stato arrestato nel 2016, dopo la denuncia di una dipendente comunale, che lo accusava di aver interferito illecitamente nella redazione di un bando da 4mila euro per la gestione estiva delle piscine comunali. L'intervento del primo cittadino avrebbe imposto la modifica di alcuni requisiti (abolizione del canone e preferenza per chi opera a Lodi), favorendo così una società municipalizzata e una partecipata pubblica al 45% di cui era socio l'avvocato Cristiano Marini. Accuse che si sono sciolte come neve al sole, ma che nel frattempo hanno devastato la vita di Uggetti. E addirittura, all’epoca, provocarono un mezzo terremoto al Csm, quando il consigliere laico Giuseppe Fanfani definì l’arresto «ingiustificato e comunque eccessivo» rispetto al reato contestato. La questione fu, però, soprattutto politica: i grillini si lanciarono subito sul caso, per colpire soprattutto Matteo Renzi, all’epoca ancora segretario del Pd e presidente del Consiglio. «Lo scandalo di Lodi dovrebbe invitare gli esponenti del Pd al silenzio. Invece Renzi, attraverso i suoi uomini, attacca la magistratura», scriveva all’epoca Luigi Di Maio, che poco dopo si ritrovò ad affrontare l’indagine a carico del sindaco grillino di Livorno, Filippo Nogarin. «Il Pd è garantista perché non vuole far dimettere gli indagati. Per noi, se Nogarin ha fatto qualcosa si dovrà dimettere», aveva chiarito. La gogna grillina era stata esasperante: quasi nessuno, tra i big, si era sottratto al gioco del tiro al bersaglio. «La politica è stata per troppo tempo un tifo - racconta Uggetti al Dubbio -, sull’avviso di garanzia, sull’indiscrezione, su intercettazioni, documenti o peggio, come nel mio caso, sul tintinnio delle manette. Ovviamente i 5Stelle erano molto immaturi su questi temi 5 anni fa. Poi hanno dovuto affrontare anche loro la questione, con i casi Nogarin, Pizzarotti, Appendino, Raggi e tanti altri». La sua vicenda, però, rappresenta anche la definitiva presa di coscienza che fare il sindaco è, spesso, più complicato di quanto possa sembrare. «Una delle storture evidenti del sistema è che il sindaco e l’amministratore locale sono esposti a delle responsabilità che teoricamente non dovrebbero appartenere loro - racconta -. Si fa sempre più difficoltà a trovare candidati, perché si è quasi sicuri che, prima o poi, arriverà un avviso di garanzia. E non va bene, ci vuole maggiore protezione. Certo ci si deve assumere la responsabilità per gli atti che si compiono e va bene. Ma quando non c’è dolo, quando non c’è interesse personale non ci può essere un atteggiamento preventivamente punitivo. Un sistema così non può funzionare». E poi c’è la gogna, mai accettabile. Perché va bene il diritto alla critica, spiega ancora l’ex sindaco, anche feroce, ma la dignità dell’altro va sempre rispettata. «Il tema è come viene fatto, con quali modalità, con quali obiettivi, con che veemenza», sottolinea. Anche Salvini, con un tweet, ha espresso solidarietà, chiedendo «più tutela giuridica (e stipendio più adeguato) per tutti i sindaci». Ma le scuse, da lui, non sono arrivate. «Quando venne in campagna elettorale a Lodi, dopo che mi dimisi, in una piazza mimò il gesto delle manette. Non mi sembra proprio un messaggio di rispetto, sobrietà e garantismo - sottolinea -. Mi aspetterei anche da lui delle scuse per quel gesto. Spero che la prossima volta che un sindaco avrà un problema non faccia lo spaccone come ha fatto con me». Dopo l’arresto, Uggetti decise di dimettersi. Ma non per la gogna subita, spiega ancora. «Ovviamente si è trattato di un insieme di fattori. Diverse persone, diversi cittadini mi chiedevano di rimanere - sottolinea -, ma la cosa che mi fece propendere in maniera decisa per le dimissioni è che un sindaco deve avere prima di tutto autorevolezza. Deve essere a capo di una comunità e purtroppo l’onta del carcere ti toglie quella autorevolezza. Perché l’avviso di garanzia lo han preso tutti e tutti hanno continuato a fare il sindaco. Ma il carcere, la traduzione a San Vittore, quella è un’altra cosa. Se uno sa di aver rubato, di aver fatto del male, si aspetta che possa capitare qualcosa. Ma io ho agito sempre e solo nell’interesse della mia comunità, diavolo. Purtroppo è andata così». Gli effetti della gogna non sono ancora spariti. A respirare, dice, Uggetti ha ricominciato soltanto dopo l’assoluzione. Cinque anni trascorsi in apnea, tanto che le parole faticano a trovare ordine. «Sentisse come mi batte il cuore mentre parliamo...», dice lasciando la frase a mezz’aria. La sua vita, spiega, è stata stravolta completamente. Da dipendente pubblico e sindaco ha mollato tutto, trovandosi, all’improvviso, costretto a reinventarsi una vita. «Non è proprio una roba banalissima - continua -. Ero un diavolo di esperto e sembrerà strano, ma a me appassionava proprio parlare di bilanci di previsione e cose così. Mi ero fatto un’esperienza, ma tutto quello che sapevo l’ho dovuto buttare nel cestino. Avevo impegnato una bella parte della mia vita in queste cose. A me è andata bene, perché mi sono rifatto una vita, sono stato in parte bravo ma anche fortunato. Altre persone non possono dire altrettanto. Si finisce per perdere la propria identità». E nonostante l’affetto di tanti - amici, familiari, concittadini -, «avversari politici ed haters ci sono stati fino all’ultimo secondo». E così su un futuro ritorno in politica preferisce non sbilanciarsi: «Diciamo che sono felicissimo di poter avere la piena libertà di scegliere. E in questo momento mi godo me la godo».