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Il Procuratore Nazionale Antimafia e antiterrorismo Melillo (LaPresse)
Le misure previste dalla proposta di liberazione anticipata speciale, che hanno come presupposto il contrasto al sovraffollamento delle carceri, non devono essere applicate ai detenuti per reati di mafia e terrorismo. È quanto ha sostenuto il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Giovanni Melillo, in audizione davanti alla commissione Giustizia della Camera, che sta esaminando la proposta di legge del deputato di Italia viva Roberto Giachetti. «L'emergenza sovraffollamento sotto gli occhi di tutti, non sorprende che Parlamento voglia assumersi responsabilità tutta politica di aumentare in via ordinaria la durata della riduzione di pena prevista nel caso di partecipazione attiva del detenuto all'opera di rieducazione», ha detto Melillo.
No a criminalità organizzata e terrorismo
«Se il presupposto del provvedimento è la grave condizione di sovraffollamento del sistema carcerario occorre che le valutazioni del Parlamento siano considerati obblighi di coerenza sistematica», ha sottolineato. Ma «l'aumento del beneficio da 45 a 60 giorni non ha alcuna ragione di riguardare i detenuti per criminalità organizzata e terrorismo. Nel regime di alta sicurezza non c'è alcun problema di sovraffollamento né alcuna compressione della dignità della condizione del detenuto».
La sentenza Torreggiani
Anche le misure adottate dopo la sentenza Torreggiani, con cui la Cedu condannò l'italia per la condizione delle carceri, «esclusero dall'ambito di applicazione per rafforzate l'effetto premiale della liberazione anticipata speciale i reati di mafia e terrorismo», ha ricordato il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, «esclusione che la Cassazione ha considerato coerente con principi costituzionali». Dunque «non ha senso includere i detenuti per mafia e terrorismo nell'ambito applicativo della misura straordinaria che si vorrebbe adottare temporaneamente oggi».
Melillo ha poi rilevato come non abbia senso anche applicare le misure a chi è in detenzione domiciliare o ha una pena alternativa al carcere, e ha evidenziato «criticità» nella previsione che attribuisce la competenza sulla concessione ai direttori degli istituti, considerato «un passo indietro nella cultura della pena». I detenuti, a suo giudizio, dovrebbero «essere informati all'inizio dei vantaggi di una attiva partecipazione ai programmi di riabilitazione» e i magistrati di sorveglianza dovrebbero «adottare una sola decisione nella fase finale, evitando il moltiplicarsi dei fascicoli e avendo un quadro complessivo dei comportamenti del detenuto».