«La politica tace. La società civile e la magistratura non possono tollerare che i detenuti vivano in condizioni indegne e inumane». Con queste parole nette, Samuele Ciambriello , portavoce della Conferenza nazionale dei garanti delle persone private della libertà e garante campano, lancia l'allarme su un sistema penitenziario italiano al collasso. Un grido che diventa appello pubblico, in vista della giornata di protesta nazionale indetta per lunedì 3 marzo , quando i garanti territoriali, magistrati, avvocati e realtà associative scenderanno in piazza per rompere il “silenzio assordante” su carceri sovraffollati e diritti calpestati.

I dati sono un pugno nello stomaco: 61.852 detenuti stipati in 192 istituti , con un surplus di 15mila persone rispetto alla capienza regolamentare. Celle progettate per ospitare due individui ne accolgono quattro, in spazi dove l'aria è satura di tensione, violenza e disperazione. Un inferno quotidiano, denunciato dai garanti in un documento congiunto che accusa la politica di immobilismo e la società civile di indifferenza. «Sovraffollamento, carenza di strutture e risorse, burocrazia asfissiante: sono i tre nodi che strangolano il sistema», ribadisce Ciambriello.

Al centro della mobilitazione del 3 marzo c'è l' Appello della Conferenza nazionale dei garanti territoriali , un documento che delinea una roadmap di interventi urgenti per evitare che le carceri italiane sprofondino in una crisi umanitaria senza ritorno. Il manifesto, articolato in cinque punti cardine , chiede al governo e alle istituzioni di agire subito, a partire dalla riduzione del sovraffollamento attraverso misure deflattive per i detenuti con pene inferiori a un anno – 8mila persone, secondo le tempi, molte delle quali senza reati considerati “ostativi” alla liberazione. A questi si aggiunge la proposta di introdurre uno sconto di pena supplementare di 15 giorni ogni semestre , per accelerare le liberazioni anticipate e decongestionare gli istituti.

Non meno cruciale è la richiesta di ampliare l’accesso alle misure alternative, come l’affidamento in prova o i lavori socialmente utili, per i 19mila detenuti che stanno scontando pene residue sotto i tre anni. Un percorso oggi spesso bloccato da procedure farraginose, nonostante le norme lo prevedano. Parallelamente, i garanti sollecitano una riorganizzazione del circuito della media sicurezza, attraverso l’attuazione della circolare Dap n. 3693/ 6143 del 2022: l’obiettivo è chiudere le sezioni ordinarie, dove i detenuti restano rinchiusi fino a 20 ore al giorno, e sostituire quelle ore di isolamento con attività concrete – laboratori, progetti culturali, percorsi di reinserimento lavorativo – per restituire un senso alla funzione rieducativa della pena.

Tra le priorità c’è anche il diritto all’affettività, un tema su cui la politica stenta a pronunciarsi nonostante la storica sentenza n. 10 del 2024 della Corte Costituzionale, che ha sancito il diritto dei detenuti a colloqui intimi e riservati, senza controllo visivo. I garanti chiedono di tradurre in pratica quelle parole: più telefonate, videochiamate e permessi premio, oggi concessi con criteri restrittivi, ma anche l’eliminazione di circolari come quelle dei P. R. A. P. che limitano l’acquisto di generi alimentari e oggetti personali, spesso disponibili solo a prezzi esorbitanti nel sopravvitto ( il “mercato interno” delle carceri). Una pratica che alimenta disparità e frustrazione, trasformando il carcere in un luogo dove persino un pacchetto di biscotti diventa un privilegio.

IL RICHIAMO DI MATTARELLA E L’INAZIONE DELLA POLITICA

L’appello parte da lontano. Due mesi fa, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel discorso di fine anno, aveva tuonato: «L’alto numero di suicidi è indice di condizioni inammissibili. Il sovraffollamento rende inaccettabili anche le condizioni di lavoro del personale». Parole cadute nel vuoto. «La politica ha voltato le spalle», accusa Ciambriello, sottolineando come il carcere sia scomparso dall’agenda parlamentare, nonostante emergenze come i 57 suicidi registrati nel 2023. La protesta del 3 marzo vuole essere un risveglio delle coscienze. «Chiediamo la presenza non solo dei garantisti, ma di tutta la società: volontari cattolici e laici, magistrati, avvocati, e persino la politica che oggi tace», afferma il portavoce. L’obiettivo è duplice: sollecitare risposte istituzionali e smuovere l’opinione pubblica, troppo spesso indifferente verso chi è «oltre le sbarre».

Il nodo è culturale: in Italia, il carcere resta il cardine della risposta alla devianza , nonostante l'articolo 27 della Costituzione imponga la rieducazione. «Serve superare la visione carcerocentrica», insistono i garanti, ricordando che il 30% dei detenuti è in attesa di primo giudizio e che il 68% ha una condanna inferiore ai cinque anni. I numeri che dimostrano come alternative alla protezione (braccialetti elettronici, comunità) sono non solo possibili, ma necessari. La sfida è trasformare le prigioni da depositi di umanità sofferente a luoghi di riscatto. «Garantire attività trattamentali non è un facoltativo», spiegano i garanti. Intanto, la sentenza sulla privacy affettiva (colloqui intimi) è una svolta epocale, ma rimane lettera morta senza direttive applicative. Il 3 marzo, insomma, non sarà solo una protesta. Sarà un test per misurare quanto l'Italia crede ancora nella dignità di ogni persona, anche di chi ha sbagliato. Perché, come ricorda Ciambriello, «un Paese civile si giudica da come tratta gli ultimi. E oggi, gli ultimi sono loro».